martedì 29 settembre 2015

L'Ostetrica Abortista


Durante il secondo anno della laurea specialistica di filosofia ebbi una sorta di folgorazione sulla Via di Damasco. Frequentavo un corso che trattava di maternità/emancipazione femminile/storia del femminismo. Ricordo perfettamente il momento, dov'ero seduta in aula, il colore della camicia della professoressa che teneva la lezione. Certo che fare l'ostetrica sarebbe stato fichissimo, pensavo. Un lavoro vero, con le mani (sogno proibito di alcuni filosofi). Un lavoro potenzialmente femminista, avrei potuto aiutare molto donne nella loro emancipazione, dato che, come stavo apprendendo durante quel corso, l'ambito della maternità può essere considerato paradigmatico dello stato di emancipazione femminile all'interno di una società.

E un attimo dopo pensavo: 'Allora sarò un'ostetrica'. La lezione continuava, probabilmente nessuno si accorse dell'espressione avevo assunto. Quella di qualcuno che ha appena avuto un'epifania.

Decisi di finire la laurea specialistica in filosofia piuttosto che mollare e provare subito il test d'ingresso, passò quasi un anno e mezzo prima che cominciassi il corso di ostetricia. Naturalmente nel frattempo ero diventata una birth junkie, divoratrice di informazioni sul parto naturale (più o meno attendibili), rompicazzi di turno anche nelle occasioni meno appropriate sulla sicurezza del parto in casa, l'importanza dell'allattamento esclusivo, dei bambini portati in fascia, pannolini lavabili, ecc... Ora che ci penso ne facevo principalmente questioni politiche, che facevano sempre perno intorno agli stessi punti, come libertà della donna di avere accesso all'informazione basata sulle evidenze scientifiche, di poter decidere del proprio corpo (e del proprio embrione/feto), e ogni tanto ci finiva dentro anche una manciata di ecologia.

In realtà mi sbagliavo su tantissime cose. Non sui princìpi, e neanche sulle evidenze scientifiche. È tutto ancora molto valido, le evidenze sono quelle lì e solo gli intellettualmente disonesti (o gli ignoranti) le negano, semplicemente mi accoravo se qualcuno non era interessato a queste cose che a me sembravano importantissime, rovesciavo con l'imbuto informazioni nelle gole di chiunque facesse l'errore di chiedermi 'Insomma, dopo la specialistica che fai?'. Force feeding. Avevo i dati, i numeri le statistiche di chi studia una scienza, e la capacità infinita di argomentare e controargomentare di chi ha studiato filosofia. Inutile dire che non erano molti quelli che ancora riuscivano a seguire i miei discorsi dopo qualche minuto. Qualcuno mi avrà dato ragione per sottrarsi all'agonia.

Il corso di ostetricia durò tre anni. Il primo quasi non lo percepii, mi stavo principalmente riprendendo dalla discussione della tesi di filosofia. Il tirocinio era piuttosto generico, mi annoiavo.
Il secondo ed il terzo anno li ho vissuti veramente male. Il tirocinio (squisitamente ostetrico) era un'agonia. Mi ponevo molto male con ostetriche e medici dell'ospedale, persone da cui in teoria avrei dovuto imparare il mestiere. In realtà li detestavo tutti (o quasi), detestavo il loro modo di fare, la mancanza di rispetto per le donne, il loro modo di deridere le donne in travaglio, il loro rispettare ossequiosamente quelle che erano chiaramente benestanti (o che avrebbero passato loro una bustarella), il servilismo, il bullismo, l'ignoranza crassa.

E pensavo solo 'io non sono come voi, io non voglio diventare voi'. E l'ostetricia era l'opposto di quello che mi aspettavo.

Quando assistevo a un parto pensavo solo a quanto male stavo facendo a quella donna, ogni volta che prendevo le forbici per un'altra inutile episiotomia (taglio del perineo, fatto con un paio di forbici, poco prima dell'espulsione del feto. Universalmente riconosciuto come inutile/dannoso se non in rarissimi casi). A lasciare che il neonato venisse portato al nido pensavo a quanto lo stavo privando di qualcosa che forse non sarà indispensabile, ma che non c'è nessuna ragione di togliergli, il diritto di essere con sua madre dopo essere uscito da lei. Avrei potuto essere migliore, togliermi la puzza sotto al naso che sicuramente avevo nei confronti di futuri colleghi e colleghe, tuttavia le mie ragioni (lo credo ancora) erano giuste, loro veramente non avevano rispetto per le donne, per i neonati, per le studenti di ostetricia, persino per i loro colleghi! Veramente non agivano secondo le evidenze scientifiche, veramente si permettevano di agire e parlare alle donne in un modo che pochi altri paesi del primo mondo permettono. E su questo avevo ragione, non lo volevo ne potevo condonare. E non ho mai fatto nulla per nasconderlo.

Cominciai a proiettare tutto sul futuro, una volta laureata mi sarei trasferita in Inghilterra (dove sono nata) e avrei praticato un'ostetricia come si deve, con evidenze scientifiche alla mano e donne che hanno piena coscienza dei loro diritti. Così feci, entro pochissimo avevo due o tre proposte di lavoro, scelsi quella più congeniale in base al tempo che ci avrei messo ad arrivare all'ospedale (criterio di grandissimo spessore etico...). Un paio di mesi, vari controlli e iscrizioni all'albo, scartoffie varie e si comincia.

Mi sbagliavo di nuovo.

Ci misi poco a capire che le cose non erano come credevo. La quantità di documentazione che dovevo compilare per ogni paziente rasentava il comico. Ci si aspettava che mi prendessi responsabilità che non mi ero mai presa prima ma anche che nessuna ostetrica in Italia si prende (ah... l'autonomia...), firmavo tracciati cardiotocografici, prescrivevo farmaci ed esami, ricoveravo e dimettevo pazienti senza l'ombra di un medico, assistevo ai travagli e ai parti completamente da sola, visitavo neonati, rianimavo neonati! Facevo compressioni bimanuali dell'utero (questa popolazione ha un'attitudine per le emorragie post partum che finchè non la vedi non ci credi). Di parti normali neanche l'ombra. Epidurali che sembravano più spinali (blocco che impedisce movimento e sensibilità dalle gambe al torace), anestesisti e ostetriche che insistevano che le donne non si muovevano perché erano pigre, ma io le epidurali fatte per bene le avevo viste durante il tirocinio, e le donne si muovevano eccome.
Tanti cesarei, tantissimi forcipi. Non riuscivo a stabilire un rapporto con le donne di cui mi occupavo, correvo da una parte all'altra, non avevo tempo di ascoltarle, pensavo solo ad assicurarmi che non morisse nessuno durante il mio turno. E basta.

Mi resi conto che non avevo imparato nulla all'università. Era colpa mia? Anche. Era colpa loro? Sicuramente. Mi avevano insegnato poco, e quel poco avevo rifiutato di impararlo (non c'è un vero metodo pedagogico, durante il tirocinio vieni lanciato a caso nelle situazioni e pubblicamente umiliato quando sbagli, sorvolando sul fatto che nessuno ti ha mai detto come le cose vanno fatte. Quindi ogni cosa imparata è preceduta da un trauma. Inoltre quel poco che ti insegnano è sbagliato, senza mezzi termini.

Te ne accorgi quando vai a lavorare in un paese dove se non sai citare lo studio in base al quale fai una certa cosa in un certo modo vieni segnalato al Collegio delle Ostetriche. Lo ripeterò all'infinito: le evidenze scientifiche sono il pilastro della pratica, si è vero che non sono perfette, ma sono l'unica cosa che abbiamo.

Ho passato un anno e mezzo a lavorare in quell'ospedale prima di dare le mie dimissioni. Dopo venti mesi sono andata via e non sono più tornata.

Nel frattempo avevo trovato un altro lavoro, sempre come ostetrica ma in un ambiente completamente diverso. Quel lavoro è il lavoro che faccio adesso.
Sono un'ostetrica che lavora in una clinica di aborti, è probabilmente uno dei lavori più belli del mondo.

Mi occupo delle donne che sono in difficoltà, che sono incinta e non sanno cosa fare. Le ascolto, ascolto le loro ragioni, cerco di aiutarle a capire cosa vogliono. Non vendo l'aborto, non vendo il parto. Non vendo niente. Anzi forse vendo la libertà di scelta, l'emancipazione. Ecco. Era proprio questo quello volevo.

Ci ho messo un bel po' a capire che il mio percorso doveva essere questo, a capire che non avevo sbagliato tutto ma semplicemente che fare l'ostetrica significa essere con le donne e assisterle nelle loro scelte, assicurarsi che conoscano le loro opzioni. Assistere le donne in gravidanza fino alla fine della gravidanza. Qualunque sia la fine della gravidanza, che partoriscano un figlio sano a termine, che ne partoriscano uno morto pretermine, o che interrompano la gravidanza per loro personalissime ragioni. Sempre valide.

Non escludo di tornare ad assistere parti un giorno (anche se riesco ad immaginarmi solo in un contesto di totale libertà di scelta per le donne), tuttavia per ora questo lavoro mi riempie di orgoglio come la sala parto non ha mai fatto. Le donne di cui mi prendo cura adesso sembrano veramente felici di avere me come ostetrica. Sono molto felice che l'ultimo parto che ho assistito sia stato un parto in casa, nella casa di una mia grande amica ostetrica Gabriella Pacini, ed è stato esattamente quello che avevo immaginato quando pensai per la prima volta che avrei fatto l'ostetrica. Ci sono voluti più di sei anni per vivere per qualche ora quella che credevo sarebbe stata la mia vita professionale per sempre. L'Universo è stato molto gentile con me da questo punto di vista.

Avevo cominciato a scrivere questo articolo per parlare dell'autonomia dell'ostetrica nella sua pratica in Inghilterra, dell'aborto in questo paese e del ruolo dell'ostetrica nell'aborto. Mi rendo conto che non potevo parlarne prima di presentarmi e di spiegare come sono arrivata dove sono. Dovrò scrivere un altro articolo.


Emily Romano

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