Di opposte fazioni e
libertà delle donne.
O bianco, o nero: gli
estremi che si toccano.
Da quando siamo nate, come movimento attivista, ci siamo
trovate spesso a dover spiegare la nostra posizione e i nostri obiettivi, relativamente
alla libertà di scelta delle donne. Abbiamo l'impressione che ci sia un'ansia e
un bisogno, espresso o inespresso, da parte di alcuni dei nostri interlocutori[1],
di ascriverci ad una delle due prospettive contrapposte che sembrano dominare
l'attuale dibattito sul tema dell'autodeterminazione delle donne rispetto alla
propria salute sessuale e, in particolare, nel percorso nascita.
Notiamo una certa difficoltà ad immaginare possibili altri punti di vista rispetto ai due seguenti modelli:
Notiamo una certa difficoltà ad immaginare possibili altri punti di vista rispetto ai due seguenti modelli:
1) La prima è la prospettiva mistico-gius-naturalista che prende
origine da un modello bioconservatore e che riconosce nella natura la sua unica
guida e riferimento nel determinare i comportamenti corretti. Viene definita
gius-naturalista perché parte dal presupposto che la natura sia buona e se si seguono le sue leggi allora "tutto andrà
bene". Presuppone l'adesione ad un particolare stile di vita e la
soggezione delle scelte individuali a delle supposte "leggi
naturali". Vi è la negazione della scienza e della tecnologia come possibili
strumenti e al contrario, chi aderisce a questo modello, tende ad esaltare
l'aspetto mistico dell'esperienza
della gravidanza e del parto, come unico approccio possibile in un percorso di
salute. Esprimendo, così, un'implicita condanna morale nei confronti di quelle
donne che vivono la propria maternità diversamente, come se la loro esperienza
fosse manchevole o incompleta. Per cui, ad esempio, un parto vaginale in cui la
donna scelga l'ausilio dell'analgesia epidurale viene definito "non
naturale", così come la scelta di non allattare al seno.
Tale approccio denuncia una visione riduttiva che identifica
con naturale unicamente ciò che sia
rispettoso di processi fisiologici di tipo biologico/fisico, senza considerare
che nella natura umana rientrano anche fattori di tipi psicologico, sociale e
culturale.
2) All'estremo opposto, ma con modalità affatto diverse,
troviamo il modello biomedico che, similmente all'approccio naturalista,
richiede una delega e un atteggiamento acritico e fideistico. In questo caso
non verso le leggi di natura ma verso
il progresso medico, la tecnologia e le
prescrizioni dell'operatore sanitario, anche quando non avvalorate da evidenze
scientifiche[2] ma
basate su pratiche routinarie e obsolete, partendo dal presupposto che qualsiasi
atto medico sia "di per sé buono". E' il caso ad esempio
dell'episiotomia[3] che,
malgrado numerosi e riconfermati studi ne abbiano dimostrato l'inutilità e la
dannosità nella grande maggioranza dei parti, viene ancora praticata in misura
altamente superiore rispetto a quanto sarebbe giustificato da reali esigenze
cliniche, quasi sempre senza informare la donna o chiedere il suo consenso.
Dunque chiedere (come noi facciamo con forza) che tale atto, come tanti altri,
vengano eseguiti solo in caso di reale necessità e dietro esplicito consenso
informato della donna, viene interpretato come un rifiuto della medicina in
toto e addirittura una sua demonizzazione.
Per cui, da una parte, l'approccio naturalista pretende che
la donna si abbandoni ad una presunta istintualità
e accusa chi sceglie diversamente di volersi sottrarre ad un'esperienza piena
ed esaltante, proprio in virtù della sua naturalità.
Dall'altra, l'approccio biomedico pretende di imporre alla donna percorsi
predefiniti, con un'acritica accettazione di qualsiasi atto medico venga fatto
sul suo corpo, e accusa chi sceglie diversamente di voler "tornare al
medioevo", rinunciando così a qualsiasi vantaggio derivante dalla moderna ars medica.
Come si può vedere, entrambi gli approcci non riconoscono
nessuna soggettività e libertà di scelta alla persona, ma al contrario
richiedono l'adesione ad un modello precostituito e una delega. Sono entrambi
approcci direttivi, paternalistici e giudicanti, funzionali ad un mantenimento
del potere che passa attraverso il controllo dei corpi.
Non a caso la chiesa cattolica, alternativamente e in modo
opportunistico, fa riferimento all'uno o all'altro modello, al fine di limitare
l'autonomia decisionale delle persone rispetto alla propria salute e al proprio
corpo, mantenendo così il suo dominio. Ad esempio la chiesa cattolica definisce
immorale il ricorso a contraccettivi chimici o meccanici, in quanto "non
naturali" e, allo stesso tempo, prevede l'obbligo morale dell'utilizzo di
ogni tecnologia medica possibile per prolungare una vita che altri
definirebbero non degna di essere vissuta.
Come si può vedere nessuno di questi due approcci riconosce
diritti e competenze alle persone, ma entrambi
si arrogano la presunzione di dare un'unica definizione corretta, universale e
neutra, di natura o di scienza, disconoscendo il fatto che, sia
il concetto di natura che quello di scienza, siano costruzioni sociali,
suscettibili di cambiamenti a seconda delle epoche e dei contesti.
Ma Freedom for Birth
Rome Action Group a quale dei due modelli aderisce?
A nessuno dei due. Noi pensiamo che queste prospettive presentino
il grosso limite di non riconoscere la soggettività delle persone, e giudichino
la singola azione senza permettere una valutazione in base alla differenze che
esistono tra le persone, al contesto culturale in cui si trovano a vivere, alla
loro personale esperienza di vita e alla stretta interazione tra tutti questi
fattori.
Questi due diversi approcci denunciano una difficoltà nel
cogliere la reale complessità dei processi, che porta alcuni dei nostri
interlocutori a estrapolare dal contesto le nostre riflessioni, riducendo, strumentalmente,
le nostre rivendicazioni e appiattendo la nostra posizione verso l'una o
l'altra prospettiva.
Avviene
così, paradossalmente, che quando denunciamo un eccesso di medicalizzazione[4]
di gravidanza e parto, o quando rivendichiamo il diritto di scegliere il luogo
e le modalità del parto, sostenendo la legittimità della scelta di partorire in
casa, o quando ancora parliamo dell'importanza di diffondere informazioni
corrette sull'importanza dell'allattamento materno, chiedendo che nella
formazione degli operatori sanitari tale argomento sia trattato (ad esempio
attraverso i programmi formativi elaborati dall'OMS e dall'UNICEF[5])
e che siano attuate politiche di contrasto per le violazioni del Codice
Internazionale[6] per la
commercializzazione dei sostituti del latte materno da parte delle
multinazionali, veniamo accusate di appartenere alla corrente naturalista e di
voler portare le donne a rifiutare qualsiasi progresso e vantaggio della
medicina moderna; quando invece sosteniamo il diritto alla scelta[7]
dell'epidurale e del taglio cesareo su autodeterminazione[8]o
la scelta di non allattare al seno, veniamo accusate di aderire al modello
biomedico e di impedire alle donne di vivere appieno l'esperienza esaltante di
una nascita e di una maternità tutta naturale.
Malgrado la forza con la quale vengono
espresse, le posizioni gius-naturalista e biomedica rimangono, a nostro avviso,
delle posizioni estreme, che non rispecchiano il comune sentire. Pensiamo che
le persone, le madri in particolare, provino lo stesso nostro disagio a
sentirsi spinte verso l'una o l'altra "fazione". Osserviamo che
spesso nei forum, sui social network, negli articoli pubblicati su giornali o
riviste di divulgazione, i commenti non lasciano spazio al riconoscimento delle
differenze individuali e di quelle scelte che valorizzino un percorso personale
nel vivere la maternità, ma si tende ad estremizzare l'argomento, chiudendo
così qualsiasi possibilità di vero confronto e di un dibattito aperto e
arricchente.
Una nuova prospettiva
La scienza non è neutra, come del resto non lo sono le
considerazioni che vengono fatte su ciò che è naturale e ciò che non lo è. Definiamo
scientifico e naturale cose diverse, a seconda del contesto storico e culturale
che stiamo vivendo. Anche il nostro movimento Freedom for Birth Rome Action
Group non ha la pretesa di essere portatore di una prospettiva oggettiva e
neutra. Come afferma Kuhn[9],
le speculazioni teoriche ed i progressi scientifici non possono prescindere dal
paradigma[10]
dominante e si muovono in accordo o in contrapposizione con lo stesso.
La nostra posizione è in accordo con il Paradigma
Bio-Psico-Sociale[11],
elaborato grazie alla riflessione di diversi autori tra cui: Rogers, Szasz,
Balint, Jaspers, Illich[12]
ed espresso nella Carta di Ottawa del 1986[13],
nella quale l'Organizzazione Mondiale della Sanità dà una nuova definizione del
concetto di salute e dei suoi determinanti.
Secondo questo paradigma la salute è intesa "non più come
mera assenza di malattia, ma benessere, buona qualità di vita e sviluppo del
proprio potenziale"[14].
La Carta di Ottawa afferma che: "La salute viene creata e vissuta da tutti
nella sfera della quotidianità: l'apprendimento, il lavoro, il gioco, l'amore.
La salute si crea avendo cura di se stessi e degli altri, acquisendo la capacità di prendere decisioni e di assumere il controllo
delle circostanze della vita, e facendo in modo che tutta la società nella
quale si vive consenta la conquista della salute per tutti i suoi membri."[15].
Appare chiara, secondo questa prospettiva, l'importanza di
fattori non solo biologici, ma anche psicologici e sociali, quali determinanti
dello stato di salute delle persone, fattori che sono inestricabilmente legati
tra loro.
E quindi?
La nostra posizione, come attiviste di Freedom for Birth -
Rome Action Group, è quella di riconoscere, primariamente, il diritto delle
donne di ricevere una chiara, corretta e completa informazione, basata sulle
più aggiornate evidenze scientifiche[16],
nonchè di ricevere un'assistenza rispettosa della dignità della persona e dei
suoi valori e caratteristiche individuali. Ci battiamo, inoltre, affinchè i
protocolli sanitari siano in linea con le indicazioni e raccomandazioni
internazionali[17].
Ma la specificità della nostra posizione sta nel riconoscere
e promuovere il diritto delle donne, correttamente informate, a compiere scelte
libere e autonome, anche quando tali scelte non dovessero, apparentemente, seguire
un percorso di salute. Questo perchè riteniamo
che l'autonomia decisionale sia un fondamentale determinante della salute stessa.
Perché, come affermano Zucconi e Howell[18],
"la salute è la conseguenza di una serie di decisioni personali e sociali
(...) le scelte personali sono importanti determinanti di salute" .
Alla luce di tutto ciò siamo convinte del fatto che, senza
dubbio, un tipo di assistenza non basata sulle evidenze scientifiche, e imposta
alla donna senza informarla e chiederle il consenso, sia il peggior percorso
sanitario possibile e produca sicuramente un effetto iatrogeno[19],
e dunque un danno per la salute stessa. Allo stesso tempo, anche un'assistenza
che segua protocolli e linee guida internazionali, ma non tenga conto delle
scelte, bisogni e desideri della donna, non rappresenti un vero percorso di
salute ma determini anch'essa effetto iatrogeno. Per fare solo alcuni esempi:
nel primo caso ci troviamo in questa situazione quando le donne vengono sottoposte
ad atti medici non necessari che provocano, a cascata, effetti negativi, che
richiedono a loro volta, altri atti medici, in una spirale viziosa di
ipermedicalizzazione, come avviene, ad esempio, quando il travaglio viene
indotto somministrando farmaci, senza che ce ne sia una reale necessità
clinica. Tale malpractice può
determinare un travaglio più difficile, lungo e doloroso ed esitare più facilmente
in un parto operativo[20]
o in un taglio cesareo. Nel secondo caso, ci troviamo nella situazione in cui
una donna, correttamente informata, venga colpevolizzata o considerata immorale
se sceglie di non allattare o se sceglie un taglio cesareo anche senza averne
indicazioni mediche[21].
Fin dove possiamo
spingere l'autonomia della donna?
Nel corso di una discussione c'è stata rivolta questa
domanda, che, nella sua semplicità, riassume adeguatamente quelli che sono i
timori di alcuni nostri interlocutori. Infatti, spesso, ci viene mossa la
critica che, sostenendo il diritto alla libertà di scelta e autodeterminazione
della donna nel percorso nascita, non teniamo adeguatamente in considerazione i
diritti alla salute della persona che nasce. Riteniamo questa critica non
fondata, perché basata su una visione che immagina i bisogni di madre e persona
che nasce in conflitto tra loro. E vede, all'aumentare del riconoscimento dei
diritti di una parte, la progressiva ma inesorabile diminuzione dei diritti
dell'altra. Crediamo che questa visione dicotomica sia estremamente limitata e
non tenga conto del fatto che madre e persona che nasce rappresentano un
sistema in cui i bisogni di entrambi sono strettamente collegati,
interdipendenti e non in contrapposizione, ma al contrario, il benessere
dell'una favorisce ed è favorito dal benessere dell'altra. Non è infatti
realistico pensare che una donna che si trova nella condizione di avere scelto
di portare avanti la gravidanza, e dunque di desiderare la maternità, faccia
poi qualcosa che deliberatamente e senza una ragione forte, danneggi la
gravidanza stessa o metta in pericolo la salute della persona che nasce. Troviamo
che questa sia una visione paternalistica, e anche dal sapore misogino, che
guarda con sospetto alle donne incinta, le quali, senza chiare indicazioni o
addirittura norme, agirebbero naturalmente
e spontaneamente in una direzione contraria alla salute delle proprie figlie e
figli.
Non affermiamo questo perchè crediamo in una naturale "bontà" o propensione
al sacrificio di sè da parte delle donne che diventano madri, quanto invece, in
accordo con ciò che sostiene Botti, riteniamo che l'autonomia di scelta non sia
mai indipendente dal contesto relazionale della persona. Così la filosofa
definisce il concetto di autonomia in
relazione: "l'agente morale non può prescindere dal contesto
relazionale in cui si trova, sia a livello riflessivo che emotivo: le sue scelte,
i suoi desideri, ma anche le responsabilità che sente, risponderanno a quel
contesto, anzi ne emergeranno (...) In questa prospettiva una donna incinta non
può prescindere, nel ragionare su come vivere una gravidanza, dal feto che
porta in grembo e dalle emozioni che prova e che non può fare a meno di provare
nei suoi confronti (...) Alla donna incinta va dunque riconosciuta la
responsabilità e la capacità di decidere moralmente a quali richieste,
prescrizioni e rinunce ottemperare e a quali no, essa non lo deciderà
arbitrariamente, ma sulla base dei sentimenti e delle riflessioni che emergono
anche dalla relazione che ha con il feto"[22].
Ci preme sottolineare un altro importante limite di questa visione
dicotomica che, immaginando come contrapposti i bisogni di madre e persona che
nasce, parte da un concetto di causalità lineare che prevede un legame diretto
tra una singola azione e i suoi effetti. Diversamente, la visione sistemica,
alla base del paradigma bio-psico-sociale, si fonda sul concetto di causalità
circolare e di multifattorialità. Facciamo un esempio: nel caso della madre che,
correttamente informata, scelga di non allattare, l'effetto negativo sulla
salute del neonato, causato dal mancato allattamento, è a nostro avviso
compensato, se non addirittura superato, dall'effetto positivo che questa
azione avrà sulla relazione madre-bambino e dunque sulla salute stessa, nel
medio e lungo termine, del neonato, che ha l'opportunità di crescere a contatto
con una madre più serena, gratificata e sicura di sé, perché ha potuto compiere
una scelta più vicina al proprio sentire e modo di essere. Allo stesso modo
pensiamo che la scelta del luogo del parto, a casa o in ospedale che sia, debba
seguire questa logica, riconoscendo alla possibilità di fare delle scelte libere
il potere di determinare migliori esiti di salute. Tale possibilità e libertà,
infatti, producono madri più competenti, consapevoli e in grado di interagire
positivamente nella relazione con la persona che verrà. Ci sembra fondamentale
la riflessione proposta da Grandolfo[23]:
“L’assistenza alla gravidanza, al parto e al puerperio deve necessariamente
essere improntata al potenziamento delle capacità e competenze e alla crescita
della consapevolezza, anche per meglio governare e tenere sotto controllo le
fragilità. Ci si condanna all’insuccesso se l’assistenza si muove nella
prospettiva di mettere sotto tutela le persone esaltando ed esasperando le
fragilità, specificamente con la medicalizzazione, dannosa non solo per
l’esplosione dell’inappropriatezza e l’aumento dei costi, molti dei quali a
carico della donna, non solo per i potenziali e concreti rischi iatrogeni, ma
anche e soprattutto per il portato di inibizione dell’espressione della
competenza potenziale e sua svalorizzazione. Drammatico approccio perché
nell’esogestazione, quando bisogna dare fondo alle proprie risorse, si arriva
in condizioni di senso di impotenza, ci si mortifica e nei casi estremi si
rischia la depressione.”
Afferma la Carta di Ottawa[24]:
"ci impegniamo a riconoscere le persone stesse come la maggiore risorsa
per la salute". Grazie a questa prospettiva è possibile immaginare e
realizzare una medicina centrata sulla persona, basata sul concetto di partnership, che vede la persona quale
protagonista attiva del processo di tutela della propria salute e partecipe
delle scelte terapeutiche[25].
Alla base dell'Approccio Centrato sulla Persona[26]
vi è il concetto di tendenza
attualizzante ovvero l'idea che, le persone siano naturalmente dotate di
una tendenza che le porti verso la realizzazione delle proprie potenzialità
positive, compito di chi ha un ruolo di cura o di assistenza è quello di creare
le condizioni facilitanti che consentano a questa tendenza di esprimersi
pienamente. Ciò sta a significare che possiamo ragionevolmente aspettarci che
la gran parte delle donne che ricevono corrette informazioni e una assistenza
rispettosa, farà scelte che vanno nella direzione della salute propria e della
persona che nasce.
Come professioniste della salute e attiviste del movimento
Freedom for Birth Rome Action Group non pensiamo che qualsiasi scelta sia
sempre e comunque condivisibile, ma non per questo riteniamo corretto limitare
a priori la libertà di scelta delle donne.
Gabriella Pacini,Mirta Mattina,Virginia Giocoli,Carmen Rizzelli
Freedom For Birth - Rome Action Group
[1] ci
riferiamo a mail ricevute, commenti su facebook, articoli scritti su di noi.
L'obiettivo di questo articolo è appunto quello di dare una spiegazione
esaustiva che possa chiarire la nostra posizione e rispondere così ai vari
commenti.
[2] La Evidence Based
Medicine (EBM), Medicina Basata sull'Evidenza o meglio, Medicina Basata sulle
Prove di Efficacia, è "l'utilizzo coscienzioso, esplicito e giudizioso
delle migliori prove disponibili, nel corso del processo decisionale
riguardante l'assistenza al malato" (Sackett D, et al,
BMJ 1996;312:71). Successivamente,
l'EBM è stata in certa misura "ridefinita" così: "la EBM
costituisce un approccio alla pratica clinica dove le decisioni cliniche
risultano dall'integrazione tra l'esperienza del medico e l'utilizzo
coscienzioso, esplicito e giudizioso delle migliori evidenze scientifiche
disponibili, mediate dalle preferenze del paziente" (Sackett D, et al. Evidence-Based
Medicine: How to Practice and Teach EBM, Paperback editions, 2000). L’EBM nasce dall'analisi
critica di studi clinici controllati o di indagini epidemiologiche il cui
rigore nei metodi scientifici impiegati deve essere accuratamente vagliato (non
è infrequente vedere revisioni sistematiche della letteratura in cui si
confrontano risultati ottenuti con metodi assolutamente discutibili). Sul sito della
Fondazione Gimbe (www.gimbe.org) possiamo leggere che: "La Evidence-based
Medicine (EBM) si è progressivamente diffusa a livello internazionale, favorita
da alcuni fenomeni che hanno contribuito ad una crisi dei modelli tradizionali
della medicina:
- la crescita esponenziale dell’informazione biomedica (volume e complessità), che ha reso sempre più difficile l’aggiornamento professionale
- il limitato trasferimento dei risultati della ricerca all’assistenza sanitaria documentato da diversi fattori: ampia variabilità della pratica professionale, persistente utilizzo di trattamenti inefficaci, elevato livello di inappropriatezza in eccesso, scarsa diffusione di trattamenti efficaci ed appropriati
- la crisi economica dei sistemi sanitari, contemporanea alla crescita della domanda e dei costi dell’assistenza
- il maggior livello di consapevolezza degli utenti sui servizi e prestazioni sanitarie.
- lo sviluppo delle tecnologie informatiche culminato nell’esplosione di Internet che ha aperto una nuova era dell'informazione biomedica
- La crescita esponenziale del volume e della complessità dell'informazione biomedica che ha reso sempre più difficile l'aggiornamento professionale per il singolo medico"
Da tali descrizioni
e definizioni emerge chiaramente che la EBM consente agli operatori sanitari di
agire in scienza e coscienza, offrendo alle persone assistite informazioni e
trattamenti basati sulle più recenti ed aggiornate risultanze de migliori studi
scientifici, rispettando, allo stesso tempo, i valori della persona. Le
evidenze scientifiche che emergono da questa metodologia di ricerca e di
pratica clinica sono, per definizione, continuamente sottoposte a revisione e suscettibili,
quindi, di essere modificate. Per tale motivo l'operatore che adotta tale
approccio non vede "la scienza" come un corpus immutabile di
conoscenza appannaggio di pochi specialisti esperti, a cui aderire
acriticamente e da imporre ai propri pazienti "per il loro bene",
quanto, piuttosto, come un insieme di conoscenze e competenze in continuo
aggiornamento alla cui revisione l'operatore stesso e le persone da lui
assistite possono contribuire attivamente.
[3] taglio
chirurgico che viene praticato a livello vaginale subito prima della
fuoriuscita della testa fetale
[4] posizione
molto più "scientifica" di quanto i nostri detrattori immaginino,
perchè in linea con le indicazioni
dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, basate sulle più aggiornate evidenze
scientifiche, come vedremo più avanti
[5] Ci
riferiamo ai percorsi formativi di 20 e 40 ore, dedicati agli operatori
sanitari, che consentono di avere una panoramica delle più attuali evidenze
scientifiche sull'allattamento al seno nonchè strumenti e competenze pratiche
per la consulenza ed il sostegno delle donne che allattano o desiderano farlo.
Tali percorsi possono essere erogati da formatori che abbiano conseguito una
certificazione OMS- UNICEF.
[6]" Il
Codice è stato elaborato dall'Oms e dall'Unicef, con lo scopo di tutelare
l'allattamento al seno tramite:
- l'impegno da parte dei Governi di provvedere alla diffusione di informazioni corrette circa l'allattamento
- l'adozione da parte di produttori e distributori di appropriate tecniche di marketing per i sostituti del latte materno ed altri alimenti infantili, i biberon e le tettarelle
Il Codice è stato approvato nel 1981 dall'Assemblea
Mondiale della Sanità e dalle più importanti case produttrici di alimenti per
l'infanzia" (www.ibfan.org).
[7] Quando
parliamo di "scelta" sottoindendiamo sempre che tale scelta sia
effettivamente libera, presupponendo che la donna abbia ricevuto dagli
operatori tutte informazioni corrette circa vantaggi e benefici.
[8] Si
intende la libera scelta di una donna che, correttamente informata circa rischi
e vantaggi, decida di avere un taglio cesareo anche in assenza di una
indicazione medica.
[9] Kuhn, T.S., (1962): The Structure of Scientific Revolution,
Chicago University Press (trad. It. La
Struttura delle Rivoluzioni Scientifiche, Torino,Einaudi, 1969)
[10]
Kuhn definisce un Paradigma come " Una costellazione che comprende
globalmente, leggi, teorie, applicazioni e strumenti e che fornisce un modello
che dà origine ad una particolare tradizione di ricerca scientifica dotata di
una sua coerenza"
[11]
Come si evince dal nome, tale paradigma presuppone che i determinanti della
salute siano relativi agli aspetti biologici/fisici, a quelli
psicologici/emotivi/relazionali ed a quelli ambientali/sociali/culturali.
Secondo questo modello l'interazione complessa di tutte e tre le sfere agisce
nel promuovere o nell'ostacolare la salute di individui e comunità. Tale
prospettiva si fonda sulla "valorizzazione dell'essere umano come
organismo globale, degno di fiducia e intrinsecamente motivato a collaborare
per la propria salute e benessere " (Anfossi, Verlato, Zucconi, op. cit. p
16). Il Modello Bio-Psico-Sociale, riconoscendo un grande valore alla
responsabilità personale degli individui nel determinare la propria salute, è
focalizzato sulla promozione dell'empowerment. Tale modello propone un
ribaltamento della prospettiva proposta dal modello bio-medico: il focus è
"sulla salute invece che sulla malattia, sulla prevenzione invece che sul
rimedio e sul benessere anzichè sulla cura". (Zucconi, Howell; op. cit.
pag 82) Tale Paradigma si è sviluppato in seguito ad alcuni apporti teorici
multidisciplinari quali la Teoria Generale dei Sistemi e la Psicologia
Umanistica e grazie alle risultanze scientifiche di alcuni ambiti e aree di
ricerca come la Psico-Neuro-Immuno-Endocrinologia e le Neuroscienze, che hanno
dato e stanno dando importanti riscontri alla stretta relazione esistente tra
diversi apparati, sistemi, organi e funzioni dell'organismo umano, invitando a
ripensare la persona come un unicum psicofisico di grande complessità, dotato
di capacità autopoietiche di autoconsapevolezza e autoregolazione. E' grazie a
tali studi che conosciamo, solo per fare un esempio, quanto lo stress influenzi
direttamente lo stato di salute di una persona, la sua risposta alle terapie e
la possibilità di guarigione da eventuali patologia, o quanto la capacità
empatica del personale sanitario ed il rispetto nei confronti della persona
assistita determinino migliori esisti di salute per le persone e maggiore
soddisfazione professionale degli operatori.
[12] Anfossi
M., Verlato M.L. Zucconi A.: (2008) Guarire
o Curare?, La Meridiana, Bari, pag 25
[13]
WHO, (1986): Ottawa Charter for
Health Promotion, International Conference on Health Promotion.
[14]
Verlato, Anfossi, Zucconi; op. cit., pag 23
[15] Anfossi
M., Verlato M.L. Zucconi A.: (2008) op. cit. pag 23
[16]
Come afferma Grandolfo: “le conoscenze sono scientifiche perché i metodi
utilizzati per produrle permettono di calcolare la probabilità che siano
sbagliate e tale consapevolezza sull’incertezza deve essere condivisa
dall’operatore e dalla persona. La scelta consapevole verrà così effettuata
confrontando le diverse alternative con i benefici e i rischi associati, il cui
peso deve essere dato dalla persona, unica titolata a farlo. (Grandolfo M. in: Percorso Nascita: promozione e valutazione
della qualità di modelli operativi, le indagini del 2008/2009 e del 2010/2011,
Istituto Superiore di Sanità, Rapporti Istisan 12/39)
[17] WHO
(1985).
Appropriate technology for birth. The
Lancet ii pag 436 - 437. Riviste nel 1992: Chalmers, B. Appropriate Technology For Birth Revisited. British Journal of Obstetrics and Gynaecology. 99 pag.
709 - 710;"Per migliorare la qualità
dell’assistenza ostetrica, promuovendo gli interventi efficaci ed appropriati, nel 1985, l'Ufficio regionale per
l'Europa dell'Organizzazione mondiale della sanità
(OMS), al termine di un lavoro di ricerca e discussione durato 7 anni,
pubblicò le sue "raccomandazioni" sulla nascita. Alla stesura di
queste raccomandazioni, accanto ai medici,
parteciparono anche ostetriche, infermieri-e, epidemiologi, statistici,
amministratori sanitari, sociologi,
psicologi, antropologi, economisti ed
utenti. La composizione di questo gruppo
di studio, rappresentativo delle diverse professionalità
e dei bisogni variamente coinvolti
nell'assistenza alla gravidanza ed al parto, costituisce un valido modello
di approccio comunitario ad un rilevante
aspetto di salute pubblica".(Basevi V., Gori G., Cerrone 1997: L. Attuazione in Italia delle Raccomandazioni
dell’ O.M.S. Dati disponibili e proposte per migliorare il sistema informativo
sui dati perinatali. Quaderni di Andria) Ecco di seguito le raccomandazioni
OMS del 1985:
- Per il benessere psicologico della neo-madre deve essere assicurata la presenza di una persona di sua scelta – familiare o non – e di poter ricevere visite nel periodo postnatale.
- A tutte le donne che partoriscono in una struttura deve venir loro garantito il rispetto dei loro valori e della loro cultura.
- L’induzione del travaglio deve essere riservata solo per specifiche indicazioni mediche ed in nessuna regione geografica si dovrebbe avere un tasso superiore al 10%
- Non c’è nessuna giustificazione in nessuna regione geografica per avere più del 10% - 12% di cesarei.
- Non c’è nessuna prova che dopo un precedente cesareo sia richiesto un ulteriore cesareo per la gravidanza successiva. Parti vaginali dopo cesareo dovrebbero venire incoraggiati.
- Non c’è nessuna indicazione per la rasatura del pube e per il clistere prima del parto.
- La rottura artificiale delle membrane, fatta di routine, non ha nessuna giustificazione scientifica e se non richiesto, si raccomanda solo in uno stadio avanzato del travaglio.
- Durante il travaglio si dovrebbe evitare la somministrazione routinaria di farmaci, se non per casi specifici.
- Il monitoraggio elettronico fetale, fatto di routine, deve essere eseguito solo in situazioni mediche particolarmente selezionate e nel travaglio indotto.
- Si raccomanda di non mettere la donna in posizione supina durante il travaglio e il parto. Si deve incoraggiare la donna a camminare durante il travaglio ed a scegliere liberamente la posizione a lei più adatta al parto.
- L’uso sistematico dell’episiotomia non è giustificato.
- Il neonato in salute deve restare con la madre ogni volta che le condizioni dei due lo permettano. Nessun processo di osservazione della salute del neonato giustifica la separazione dalla madre.
- Si deve promuovere immediatamente l’inizio dell’allattamento già prima che sia lasciata la sala parto.
- L’allattamento costituisce l’alimentazione normale ideale del neonato e dà allo sviluppo del bambino basi biologiche ed effetti impareggiabili.
- In gravidanza si raccomanda un’educazione sistematica sull’allattamento al seno, poiché attraverso un’educazione ed un sostegno adeguato tutte le donne sono in grado di allattare il proprio bambino al seno. Si deve invece incoraggiare le madri a tenere il bambino vicino a loro e ad offrirgli il seno ogni volta che il bimbo lo richiede.
- Si deve prolungare l’allattamento al seno il più possibile e di evitare il complemento di aggiunte. Una madre in buona salute non ha bisogno di alcun complemento fino a 6 mesi di vita del bambino.
[18]
Zucconi A., Howell P. (2003): op. cit. pag 90
[19] Si definisce "effetto Iatrogeno" quel particolare effetto avverso o danno
collaterale che si produce come conseguenza indesiderata di un trattamento o di
un atto medico, in questo caso l'azione medica, da soluzione diviene parte del
problema. Illich sostiene che: “La salute tocca i suoi livelli ottimali là dove
l’ambiente genera capacità personale di far fronte alla vita in modo autonomo e
responsabile. Il livello della salute non può che calare quando la
sopravvivenza viene a dipendere, oltre una certa misura, dalla regolazione
eteronoma (cioè diretta dagli altri) dell'omeostasi dell'organismo. Oltre una
certa intensità critica, la tutela istituzionale della salute equivale a una
negazione sistematica della salute.” Ivan Illich (1976) Medical
Nemesis: The Expropriation of Health, Pantheon Books, New York, trad. it.: Nemesi Medica ed B.Mondadori 2004 pag
13.
[20] si
definisce "parto operativo" quel parto in cui , per facilitare la
fuoriuscita della testa fetale, vengono utilizzati il forcipe o la ventosa, e
questo aumenta il rischio di lesioni sia per la madre che per la persona che
nasce.
[21] il taglio cesareo senza indicazioni mediche
(taglio cesareo per autodeterminazione) è associato ad un più alto tasso di
mortalità e morbilità materna e più alto tasso di morbilità neonatale.
[22] Botti. C. (2007): Madri Cattive, Una
riflessione su bioetica e gravidanza; Il Saggiatore, Milano. Pag 163 - 164
[23]
Grandolfo M. (2012), Op.Cit.
[24] WHO,
(1986), op. cit.
[25]
Anfossi,Verlato,Zucconi op.cit. pag 25
[26]
L'Approccio Centrato sulla Persona, fondato da Carl R. Rogers, appartiene
all'ambito della Psicologia Umanistica ed ha dato un notevole apporto
all'elaborazione ed allo sviluppo del paradigma Bio-Psico-Sociale. "Fin
dagli anni Quaranta Rogers ha evidenziato come un'eccessiva enfasi sulla
patologia e sulle carenze dei "pazienti" comportasse il rischio di
concentrarsi sul sintomo, allontanandosi dalla persona e passivizzandola (...)
ha contribuito alla ri-valutazione della soggettività, libertà e responsabilità
degli esseri umani, proponendo una visione basata sulla fiducia nelle loro
risorse." (Anfossi, Verlato, Zucconi, op. cit. pag. 27).
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Anche se una scelta non condivisibile dai più, la donna deve poter rifiutare ricovero o assistenza anche qualora vi sia imminente pericolo di vita sua o del feto. Esistono culti individuali come il mio secondo i quali non può essere presente ostetrica , nemmeno una lay midwife di orientamento olistico, durante il parto, e spero freedom of birth non condanni questa scelta. Io rifiuto la presenza di un pubblico ufficiale che in caso di necessità presunta può chiamare soccorsi non graditi o disporre del corpo della donna e del bambino in quanto pubblico ufficiale. Vi sono donne, poche che si sentono più sicure da sole con tutti i rischi , alti, annessi, piuttosto che con la minaccia di un ricovero. Vi sono casi di donne che hanno partorito da sole bambini podalici, gemelli, che hanno avuto parti accaduti molti giorni dopo la rottura delle acque nella stessa condizione con successo. Una donna deve essere libera, come sostiene la giurisdizione inglese,anche di fare scelte bizzarre, non sensate al cospetto dei medici o dei più, e rischiose senza essere privata della libertà e della potestà del neonato. In una linea di principio libertaria, come quella che incarna da sempre il mio pensiero,una donna deve essere libera anche di essere talebana ed estremista , se sente sua questa condizione, riguardo al proprio corpo.
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