Durante
il secondo anno della laurea
specialistica di filosofia ebbi
una sorta di folgorazione sulla Via di Damasco. Frequentavo un corso che
trattava di maternità/emancipazione femminile/storia del femminismo. Ricordo
perfettamente il momento, dov'ero seduta in aula, il colore della camicia della
professoressa che teneva la lezione. Certo che fare l'ostetrica sarebbe stato
fichissimo, pensavo. Un lavoro
vero, con le mani (sogno proibito di alcuni filosofi). Un lavoro
potenzialmente femminista, avrei potuto aiutare molto donne nella loro
emancipazione, dato che, come stavo apprendendo durante quel corso, l'ambito della maternità può
essere considerato paradigmatico dello stato di emancipazione femminile all'interno di una società.
E un
attimo dopo pensavo: 'Allora sarò un'ostetrica'. La lezione continuava,
probabilmente nessuno si accorse dell'espressione avevo assunto. Quella di
qualcuno che ha appena avuto un'epifania.
Decisi di
finire la laurea specialistica in filosofia piuttosto che mollare e provare
subito il test d'ingresso, passò quasi un anno e mezzo prima che cominciassi il
corso di ostetricia. Naturalmente nel frattempo ero diventata una birth junkie,
divoratrice di informazioni sul parto naturale (più o meno attendibili),
rompicazzi di turno anche nelle occasioni meno appropriate sulla sicurezza del
parto in casa, l'importanza dell'allattamento esclusivo, dei bambini portati in
fascia, pannolini lavabili, ecc... Ora che ci penso ne facevo principalmente questioni
politiche, che facevano sempre perno intorno agli stessi punti, come
libertà della donna di avere accesso all'informazione basata sulle evidenze
scientifiche, di poter decidere del proprio corpo (e del proprio
embrione/feto), e ogni tanto ci finiva dentro anche una manciata di ecologia.
In realtà
mi sbagliavo su tantissime cose. Non sui princìpi, e neanche sulle evidenze
scientifiche. È tutto
ancora molto valido, le evidenze sono quelle lì e solo gli intellettualmente
disonesti (o gli ignoranti) le negano, semplicemente mi accoravo se qualcuno
non era interessato a queste cose che a me sembravano importantissime,
rovesciavo con l'imbuto informazioni nelle gole di chiunque facesse l'errore di
chiedermi 'Insomma, dopo la specialistica che fai?'. Force feeding. Avevo i dati,
i numeri le statistiche di chi studia una scienza, e la capacità infinita di argomentare
e controargomentare di chi ha studiato filosofia. Inutile dire che non
erano molti quelli che ancora riuscivano a seguire i miei discorsi dopo qualche
minuto. Qualcuno mi avrà dato ragione per sottrarsi all'agonia.
Il corso
di ostetricia durò tre anni. Il primo quasi non lo percepii, mi stavo
principalmente riprendendo dalla discussione della tesi di filosofia. Il
tirocinio era piuttosto generico, mi annoiavo.
Il
secondo ed il terzo anno li ho vissuti veramente male. Il
tirocinio (squisitamente ostetrico) era un'agonia. Mi ponevo molto male con
ostetriche e medici dell'ospedale, persone da cui in teoria avrei dovuto
imparare il mestiere. In
realtà li detestavo tutti (o quasi), detestavo il loro modo di fare, la
mancanza di rispetto per le donne, il loro modo di deridere le donne in
travaglio, il loro rispettare ossequiosamente quelle che erano chiaramente
benestanti (o che avrebbero passato loro una bustarella), il servilismo, il
bullismo, l'ignoranza crassa.
E pensavo
solo 'io non sono come voi, io non voglio diventare voi'. E l'ostetricia era
l'opposto di quello che mi aspettavo.
Quando
assistevo a un parto pensavo solo a quanto male stavo facendo a quella donna,
ogni volta che prendevo le forbici per un'altra inutile episiotomia (taglio del perineo, fatto con un paio di forbici, poco prima dell'espulsione del feto. Universalmente riconosciuto come inutile/dannoso se non in rarissimi casi). A lasciare che il neonato venisse
portato al nido pensavo a quanto lo stavo privando di qualcosa che forse non
sarà indispensabile, ma che non c'è nessuna ragione di togliergli, il diritto
di essere con sua madre dopo essere uscito da lei. Avrei potuto essere
migliore, togliermi la puzza sotto al naso che sicuramente avevo nei confronti
di futuri colleghi e colleghe, tuttavia le mie ragioni (lo credo ancora) erano
giuste, loro veramente non avevano rispetto per le donne, per i neonati, per le studenti di ostetricia, persino per i loro colleghi! Veramente non agivano secondo le
evidenze scientifiche, veramente si permettevano di agire e parlare alle
donne in un modo che pochi altri paesi del primo mondo permettono. E su questo
avevo ragione, non lo volevo ne potevo condonare. E non ho mai fatto nulla per
nasconderlo.
Cominciai
a proiettare tutto sul futuro, una volta laureata mi sarei trasferita in
Inghilterra (dove sono nata) e avrei praticato un'ostetricia come si deve, con
evidenze scientifiche alla mano e donne che hanno piena coscienza dei loro
diritti. Così feci, entro pochissimo avevo due o tre proposte di lavoro,
scelsi quella più congeniale in base al tempo che ci avrei messo ad arrivare
all'ospedale (criterio di grandissimo spessore etico...). Un paio di mesi, vari
controlli e iscrizioni all'albo, scartoffie varie e si comincia.
Mi
sbagliavo di nuovo.
Ci misi
poco a capire che le cose non erano come credevo. La quantità di documentazione
che dovevo compilare per ogni paziente rasentava il comico. Ci si aspettava che
mi prendessi responsabilità che non mi ero mai presa prima ma anche che nessuna
ostetrica in Italia si prende (ah... l'autonomia...), firmavo tracciati
cardiotocografici, prescrivevo farmaci ed esami, ricoveravo e dimettevo
pazienti senza l'ombra di un medico, assistevo ai travagli e ai parti
completamente da sola, visitavo neonati, rianimavo neonati! Facevo compressioni
bimanuali dell'utero (questa popolazione ha un'attitudine per le emorragie post
partum che finchè non la vedi non ci credi). Di parti normali neanche l'ombra.
Epidurali che sembravano più spinali (blocco che impedisce movimento e
sensibilità dalle gambe al torace), anestesisti e ostetriche che insistevano
che le donne non si muovevano perché erano pigre, ma io le epidurali fatte per
bene le avevo viste durante il tirocinio, e le donne si muovevano eccome.
Tanti
cesarei, tantissimi forcipi. Non riuscivo a stabilire un rapporto con le donne
di cui mi occupavo, correvo da una parte all'altra, non avevo tempo di ascoltarle,
pensavo solo ad assicurarmi che non morisse nessuno durante il mio turno. E
basta.
Mi resi
conto che non avevo imparato nulla all'università. Era colpa mia? Anche. Era
colpa loro? Sicuramente. Mi
avevano insegnato poco, e quel poco avevo rifiutato di impararlo (non c'è un
vero metodo pedagogico, durante il tirocinio vieni lanciato a caso nelle
situazioni e pubblicamente umiliato quando sbagli, sorvolando sul fatto che
nessuno ti ha mai detto come le cose vanno fatte. Quindi ogni cosa imparata è
preceduta da un trauma. Inoltre quel poco che ti insegnano è sbagliato, senza
mezzi termini.
Te ne
accorgi quando vai a lavorare in un paese dove se non sai citare lo studio in
base al quale fai una certa cosa in un certo modo vieni segnalato al Collegio
delle Ostetriche. Lo ripeterò all'infinito: le
evidenze scientifiche sono il pilastro della pratica, si è vero che non sono
perfette, ma sono l'unica cosa che abbiamo.
Ho
passato un anno e mezzo a lavorare in quell'ospedale prima di dare le mie
dimissioni. Dopo venti mesi sono andata via e non sono più tornata.
Nel
frattempo avevo trovato un altro lavoro, sempre come ostetrica ma in un
ambiente completamente diverso. Quel lavoro è il lavoro che faccio adesso.
Sono
un'ostetrica che lavora in una clinica di aborti, è probabilmente uno dei
lavori più belli del mondo.
Mi occupo
delle donne che sono in difficoltà, che sono incinta e non sanno cosa fare. Le
ascolto, ascolto le loro
ragioni, cerco di aiutarle a capire cosa vogliono. Non vendo l'aborto, non
vendo il parto. Non vendo niente. Anzi
forse vendo la libertà di scelta, l'emancipazione. Ecco. Era proprio questo
quello volevo.
Ci ho
messo un bel po' a capire che il mio percorso doveva essere questo, a capire che non avevo sbagliato
tutto ma semplicemente che fare l'ostetrica significa essere con le donne e
assisterle nelle loro scelte, assicurarsi
che conoscano le loro opzioni. Assistere le donne in gravidanza fino alla fine
della gravidanza. Qualunque sia la fine della gravidanza, che partoriscano un
figlio sano a termine, che ne partoriscano uno morto pretermine, o che
interrompano la gravidanza per loro personalissime ragioni. Sempre valide.
Non
escludo di tornare ad assistere parti un giorno (anche se riesco ad immaginarmi
solo in un contesto di totale libertà di scelta per le donne), tuttavia per ora
questo lavoro mi riempie di orgoglio come la sala parto non ha mai fatto. Le
donne di cui mi prendo cura adesso sembrano veramente felici di avere me come
ostetrica. Sono molto felice che l'ultimo parto che ho assistito sia stato un
parto in casa, nella casa di una mia grande amica ostetrica Gabriella Pacini, ed è stato esattamente quello che
avevo immaginato quando pensai per la prima volta che avrei fatto l'ostetrica.
Ci sono voluti più di sei anni per vivere per qualche ora quella che credevo
sarebbe stata la mia vita professionale per sempre. L'Universo è stato
molto gentile con me da questo punto di vista.
Avevo cominciato a scrivere
questo articolo per parlare dell'autonomia dell'ostetrica nella sua pratica in
Inghilterra, dell'aborto in questo paese e del ruolo dell'ostetrica
nell'aborto. Mi rendo conto che non potevo parlarne prima di presentarmi e di
spiegare come sono arrivata dove sono. Dovrò scrivere un altro articolo.
Emily
Romano