Freedom for Birth Rome Action Group chiede
il riconoscimento culturale, sociale e normativo della VIOLENZA OSTETRICA.
Come ormai sanno coloro che ci seguono e ci sostengono nella rivendicazione dell'autodeterminazione
e della libertà di scelta della donna sulla propria salute riproduttiva e, in
particolare, nel percorso nascita, il nostro impegno è finalizzato, tra
l'altro, al riconoscimento della violenza
ostetrica, sia da un punto di vista socio-culturale che normativo, come
primo passo per la sua delegittimazione e per la sua eliminazione.
In
vista di questo obiettivo, siamo attive sia con iniziative finalizzate alla
diffusione di informazioni ed al sostegno di processi di empowerment nelle
donne, con momenti di confronto, con iniziative di sensibilizzazione,
sia
alimentando un dibattito ed una riflessione, del tutto nuova nel panorama
italiano, incentrata sulle cause e sulle motivazioni all'origine della violenza nel parto, che resta a
tutt'oggi un vero tabù. Il nostro impegno si snoda anche sul piano pratico, attraverso
sportelli di assistenza ostetrica, psicologica e legale.
Riteniamo
imprescindibile, quando si parla di violenza
contro le donne, parlare di violenza ostetrica.
Così,
anche nella settimana in cui ricorre la giornata mondiale contro la violenza
sulle donne, vogliamo ribadire le nostre rivendicazioni, nella convinzione e
consapevolezza che ci si deve mobilitare non solo un giorno all'anno o sotto la
luce dei riflettori, come crediamo di dimostrare attraverso il nostro impegno
costante.
Noi chiediamo che lo Stato e le Regioni
riconoscano la violenza ostetrica quale grave violazione dei diritti umani delle
donne in materia di salute riproduttiva e che si impegnino, su tutti i
fronti ed in primis con la prevenzione, a contrastarla.
Crediamo,
infatti, sia fondamentale una codificazione normativa di questo silenzioso
fenomeno, non tanto per la necessità che venga individuata una specifica
ipotesi di reato, atteso che nel nostro ordinamento esistono già norme penali
da invocare per punire gli abusi sul corpo della donna, quanto, piuttosto,
perché ci sembra doveroso, in una società civile, che venga a chiare lettere definita
e deplorata questa, così come ogni altra, forma di maltrattamento e di mancanza
di rispetto nei confronti della donna.
Chiediamo, anche, che le strutture
sanitarie e gli operatori sanitari coinvolti nei percorsi nascita e della
salute della donna rivisitino i protocolli, i primi, e le proprie coscienze, i
secondi, uniformando gli uni e le altre al più profondo ed integrale rispetto
dei diritti e delle scelte delle donne e adeguandoli alle evidenze mediche ed
alle dichiarazioni e raccomandazioni degli organismi internazionali sulla salute.
Ci
sembra a questo punto importante offrire una pur rapida analisi comparata sul tema della violenza ostetrica, ricordando le
leggi dei Paesi che, unici finora, l'hanno codificata: Venezuela, Argentina, Messico.
In Venezuela, nel 2007, l’Assemblea
Nazionale ha approvato all’unanimità, e con il grande appoggio di donne delle
organizzazioni politiche, accademiche e professionali, una legge quadro sul
diritto delle donne a vivere una vita libera dalla violenza. Alla seduta hanno
partecipato più di 4000 donne di tutti i settori sociali e politici. La Legge del 16 marzo 2007 "Léy organicasobre el derecho de las mujeres a una vida libre de violencia", identifica 19 forme di violenza contro le donne: psicologica,
fisica, domestica, sessuale, lavorativa, patrimoniale ed economica, ostetrica,
istituzionale, simbolica; inoltre la sterilizzazione forzata, il traffico e la
tratta, le molestie, lo stupro, la prostituzione forzata, la schiavitù
sessuale.
In
particolare, al punto 13 dell'articolo 15, così si definisce la violenza ostetrica "Se entiende por violencia obstétrica la
apropiación del cuerpo y procesos reproductivos de las mujeres por personal de
salud, que se expresa en un trato deshumanizador,
en un abuso de medicalización y patologización de los procesos naturales,
trayendo consigo pérdida de autonomía y capacidad de decidir libremente sobre
sus cuerpos y sexualidad, impactando negativamente en la calidad de vida de las
mujeres" (Si intende per violenza ostetrica l'appropriazione del corpo
e dei processi riproduttivi delle donne da parte del personale medico, che si
traduce in un trattamento disumano, in un eccesso di medicalizzazione e
patologizzazione dei processi naturali, comportando la perdita di autonomia e
di capacità di decidere liberamente sul proprio corpo e sulla propria sessualità,
impattando negativamente sulla qualità
di vita delle donne).
Nello
stesso provvedimento, all'articolo 51, sono esemplificati atti e comportamenti
che integrano una violenza ostetrica: l’attenzione intempestiva e inefficace
nelle emergenze ostetriche; forzare la donna a partorire in posizione supina,
con le gambe sollevate, quando i mezzi necessari per svolgere un parto
verticale sono disponibili; impedire il contatto/attacco iniziale del bambino
con sua madre senza una causa medica impedendo così l’attaccamento precoce e
allattamento al seno immediatamente dopo la nascita; modificare il naturale
processo di nascita a basso rischio, utilizzando tecniche di accelerazione,
senza ottenere prima il consenso volontario, esplicito e informato della donna;
l'esecuzione di taglio cesareo quando il parto naturale è possibile, senza
ottenere il consenso volontario, esplicito e informato da parte della donna.
La violenza ostetrica si esplica quindi
attraverso la messa in atto, da parte del personale sanitario, di un’assistenza
inefficace e di interventi medici non necessari e non acconsentiti dalla donna
stessa, durante il travaglio e il parto.
Queste
condotte sono considerate un reato,
multato con una sanzione pecuniaria e con l’avvio di un procedimento
disciplinare a carico del sanitario che le agisce.
La legge
venezuelana, quindi, non solo riconosce la violenza ostetrica, la definisce e
la rende visibile, la condanna e ne delegittima il ricorso ma, soprattutto,
mette la donna al centro del percorso
nascita e ne legittima il ruolo di
protagonista. Mette al centro la persona
e la sua soggettività, il diritto di
ogni donna di ricevere un’assistenza rispettosa che non violi la sua dignità,
la sua integrità e la sua scelta volontaria, libera, informata sul proprio
corpo; la donna è ritenuta quindi assolutamente capace di intendere e volere - e, purtroppo, non è un dato scontato
- e di esercitare il diritto di scelta
anche in sala parto.
In Argentina, similmente al Venezuela, la
Legge 26.485 del 1° aprile 2009 "Ley de protección integral para prevenir, sancionar y erradicar la violencia contralas mujeres en los ámbitos en que desarrollen sus relacion interpersonales"
(Legge di protezione integrale per prevenire, sanzionare ed eliminare la
violenza contro le donne negli ambiti in cui si svolgono le sue relazioni
interpersonali), all'articolo 6, si definiscono sei forme di violenza:
violenza domestica, violenza istituzionale, violenza in ambito lavorativo,
violenza contro la libertà riproduttiva, violenza mediatica e violenza
ostetrica.
In
particolare, la violenza ostetrica è
così delineata "e) Violencia obstétrica: aquella que ejerce
el personal de salud sobre el cuerpo y los procesos reproductivos de las
mujeres, expresada en un trato deshumanizado, un abuso de medicalización y
patologización de los procesos naturales, de conformidad con la Ley 25.929"
(Violenza ostetrica: quella esercitata dal personale sanitario sul corpo e sui
processi riproduttivi delle donne, che si traduce in un trattamento disumano,
un eccesso di medicalizzazione e patologizzazione dei processi naturali, in
conformità con la Legge 25.929).
A
sua volta, la Legge n. 25.929 sui "Derechos de Padres e Hijos durante el Proceso de Nacimiento. Declaración de Interés delSistema Nacional de Información Mujer, por parte del Senado de la Nación. Declaración sobre difusión del Parto Humanizado" (Diritti dei genitori
e dei figli durante il percorso nascita), indirizzata tanto al sistema
sanitario pubblico che a quello privato, riconosce alla donna, durante
tutto il percorso nascita (gravidanza, travaglio di parto, parto e post-partum),
il diritto ad essere informata su ogni intervento medico che possa aver luogo
durante tutto il percorso nascita, in modo che possa scegliere liberamente tra
le diverse alternative; il diritto ad esser trattata con rispetto, in modo
personalizzato, che garantisca l'intimità durante tutto il processo
assistenziale e tenga in considerazione la sua cultura; il diritto ad esser
considerata come persona sana, in modo che se ne faciliti la sua partecipazione
come protagonista del suo proprio parto; il diritto ad un parto naturale,
rispettoso dei tempi biologici e psicologici, senza pratiche invasive e
somministrazione di farmaci non giustificata dallo stato di salute della donna
partoriente o del nascituro; il diritto ad essere informata su ogni evoluzione
del suo parto, dello stato di suo figlio o sua figlia, e in generale, ad essere
resa partecipe delle varie azioni dei professionisti; il diritto a non essere
sottoposta a nessun esame o intervento
esplorativo, salvo consenso scritto; ad avere accanto a sé un persona di sua
fiducia durante il travaglio, il parto e il postpartum; a tenere accanto a sé
sua figlia o suo figlio durante la permanenza in ospedale, salvo che il
nascituro non richieda cure speciali; ad essere informata, dall'inizio della
gravidanza, sui benefici dell'allattamento materno ed a ricevere sostegno per
iniziare ad allattare, a ricevere consigli e informazioni per la cura di se
stessa e di sua figlia o suo figlio, ad essere informata specificamente sugli
effetti collaterali del tabacco, dell'alcol e delle droghe sulla bambina o sul
bambino e su se stessa.
In Messico, infine, il 30 aprile 2014, il
Senato ha apportato modifiche ed integrazioni alle proprie leggi nazionali
sulla violenza contro le donne, introducendo l'ipotesi della violenza
ostetrica.
In particolare,
l'articolo 6 della Ley General de Acceso a una Vida Libre de Violencia,
la violenza ostetrica è definita come "toda
acción u omisión por parte del personal médico y de salud que dañe, lastime,
denigre o cause la muerte a la mujer durante el embarazo, parto y puerperio"
(ogni azione o omissione da parte del personale medico e sanitario che
danneggia, ferisca, denigri o causi la morte della donna, durante la
gravidanza, il parto o il puerpuerio).
L'articolo
5 della Ley de acceso de las mujeres auna vida libre de violencia para el Estado Guanajuato,
riprendendo la stessa definizione vi comprende anche la negligenza
nell'assistenza medica.
L'articolo
7 della Ley de acceso de las mujeres auna vida libre de violencia para el Estado de Veracruz de Ignazcio de La Llave, e l'articolo 6 della Ley de acceso de las mujeres a una vida libre de violencia para el Estado de Chiapas,
così recitano "Apropiación del
cuerpo y procesos reproductivos de las mujeres por personal de salud, que se
expresa en un trato deshumanizador, en
un abuso de medicalización y patologización de los procesos naturales, trayendo
consigo pérdida de autonomía y capacidad de decidir libremente sobre sus
cuerpos y sexualidad; se consideran como tal, omitir la atención oportuna y
eficaz de las emergencias obstétricas, obligar a la mujer a parir en posición
supina y con las piernas levantadas, existiendo los medios necesarios para la
realización del parto vertical, obstaculizar el apego precoz del niño o niña
con su madre sin causa médica justificada, negándole la posibilidad de cargarlo
y amamantarlo inmediatamente después de nacer, alterar el proceso natural del
parto de bajo riesgo, mediante el uso de técnicas de aceleración, sin obtener
el consentimiento voluntario, expreso e informado de la mujer y practicar el
parto por vía de cesárea, existiendo condiciones para el parto natural, sin
obtener el consentimiento voluntario, expreso e informado de la mujer (L'appropriazione
del corpo e dei processi riproduttivi delle donne da parte del personale
sanitario, che si traduce in un trattamento disumano, in un eccesso di
medicalizzazione e patologizzazione dei processi naturali, causando la perdita
di autonomia e di capacità di decidere liberamente del proprio corpo e della
sessualità; si considerano come tale omettere la cura tempestiva ed efficace
delle emergenze ostetriche, costringere le donne a partorire in posizione
supina e con le gambe sollevate, avendo i mezzi necessari per partorire in verticale,
ostacolare l'attaccamento precoce del bambino o bambina con sua madre senza una
causa medica giustificata, negandole la possibilità di accudirlo e di
allattarlo subito dopo la nascita, alterare il processo naturale del parto a basso
rischio, mediante l'utilizzo di tecniche di induzione, senza ottenere il
consenso volontario, espresso e informato della donna e praticare il taglio
cesareo esistendo condizioni per il parto naturale, senza ottenere il consenso
volontario, espresso e informato della donna).
Quelle
appena sopra ricordate ci sembrano davvero normative
centrate sul rispetto della donna, del suo corpo e della sua dignità, sulla
promozione della fisiologia, sul
riconoscimento del diritto di
autodeterminazione sulla salute riproduttiva; normative che affermano il primato della donna e che recepiscono l'importanza di un sistema di salute che, da un
lato, riconosca alla donna la sua individualità e la sua competenza decisionale e, dall'altro, le garantiscano sostegno, rispetto, trasmissione di
informazioni corrette ed esaustive.
Ci
sembrano, quindi, leggi realmente basate su un autentico approccio di
promozione della salute, secondo il quale la salute è non già l'assenza di
malattia, ma il benessere della persona, per il cui raggiungimento è determinante
la valorizzazione della capacità di prendere decisioni e di assumere il
controllo delle circostanze della propria vita, così come ci insegna l'OMS
nella Carta di Ottawa del 1986.
Leggi,
quelle venezuelana, argentina e messicana, che, senza cadere nella trappola
ideologizzante di una capziosa visione dicotomica che vede contrapposti modello biomedico/approccio naturalista, hanno correttamente e coraggiosamente saputo
stigmatizzare l'eccesso di
medicalizzazione, inteso quale applicazione di procedure mediche non
necessarie e non acconsentite, correlandolo ad una arbitraria, ingiustificata
e, quindi, abusiva alterazione dei
processi fisiologici. Leggi che, inoltre, hanno saputo recepire appieno le Raccomandazioni dell’OMS del 1985,
imponendo la tutela della relazione madre-neonato e indicando come illecita la
separazione madre-figlio/a senza valide indicazioni mediche. Tutte le evidenze
scientifiche infatti sottolineano l'importanza fondamentale del contatto
subitaneo pelle-pelle tra madre e figlia/o e l’attaccamento al seno nelle prime
due ore dalla nascita, per l’avvio dell’allattamento, l’instaurarsi della
relazione affettiva di attaccamento e per il benessere psicologico e fisico di
entrambi.
Non
meno importante, poi, è che le stesse leggi prevedano specifici obblighi istituzionali, delineino meccanismi di denuncia delle violenze
accessibili alle donne, istituiscano organismi
di controllo e di monitoraggio sullo stato di attuazione e sul rispetto
delle disposizioni normative stesse, nonché organismi di tutela con specifica formazione di genere, strumenti
ed accorgimenti indispensabili per rendere effettivi i diritti formalmente
riconosciuti.
E in Italia?
In
Italia - Paese che non ha ancora attuato
la Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le
donne e si è limitato ad approvare una legge sul femminicidio dal carattere spiccatamente
emergenziale e securitario -, manca del tutto il riconoscimento normativo della
violenza ostetrica tra le forme di violenza contro le donne.
Solo
in alcune Regioni troviamo normative sul percorso nascita e sulla tutela della dimensione
psico-affettiva del parto (si veda, ad esempio, la Legge Regione Lazio n. 84/1985), le quali, tuttavia, restano del tutto inattuate e vengono
quotidianamente frustrate da prassi ospedaliere che si sostanziano in profondi,
sottaciuti, subdoli maltrattamenti verso le donne e abusi sui loro corpi.
In
Italia, i protocolli ospedalieri sono molto spesso lontani dalla messa in
pratica di trattamenti umani e rispettosi del corpo della donna, alla quale
sono frequentemente disconosciute le più basilari, comprensibili esigenze, come quella di
avere accanto a sé una persona di fiducia o quella di bere, mangiare o muoversi
durante il travaglio oppure quella di ricercare la miglior posizione per il
proprio partorire.
In
Italia, gli ospedali amici dei bambini secondo le direttive OMS - Unicef sono una assoluta rarità,
mentre è consuetudine pressoché generalizzata quella della somministrazione di
soluzioni glucosate, così come quasi del tutto assente il sostegno alle donne,
soprattutto se cesarizzate, per l'inizio dell'allattamento. Davvero pochi gli
ospedali in cui si riconosce fattivamente l'importanza dell'immediato contatto
pelle a pelle tra mamma e neonata/o e si articolano procedure (ivi compresa la
prima visita pediatrica al neonato/a) per garantire questo contatto. Persino
negli ospedali che attuano il cosiddetto rooming-in, è abitudine
"prelevare" tutti i neonati e le neonate del reparto per portarle/i a
visita dal pediatra ospedaliero tutte/i insieme e riportarle/i dalle loro mamme solo a chiusura
del turno di visite (con ore e ore di stazionamento nei nidi e pianti
inconsolati se non a suon di soluzioni glucosate).
In
Italia, come ci raccontano le donne che incontriamo, molte strutture
ospedaliere pubblicizzano la possibilità di scelta per la donna di un parto
attivo (ma, poi, ci chiediamo: per quanto ancora si vuole alimentare l'idea "medicocentrica"
di un parto "passivo", in cui è il sanitario che "fa partorire"
e non la donna che partorisce?), salvo poi imporre seccamente la posizione
supina alla donna, giustificata con un "su, signora, si metta sdraiata sul lettino, che altrimenti ci sporca ilpavimento".
Da
noi, gli abusi sul corpo delle donne in
sala parto sono una routine: interventi medici non necessari e non
acconsentiti, praticati persino in contrasto con le indicazioni dei protocolli
medici internazionalmente riconosciuti (pensiamo agli alti tassi di
episiotomia, che secondo una Indagine Conoscitiva sul Percorso Nascita del 2002,
si stima essere eseguita nel 70% circa dei parti; pensiamo alla manovra di
Kristeller, neppure indicata nelle Sdo e nei Cedap; al monitoraggio del battito
cardiaco fetale continuo, che costringe la donna a restare legata ad un
apparecchio, ecc.). Per non parlare dei tagli cesarei, per i quali l'Italia ha un
tasso medio vicino al 40% tra i più alti al mondo (secondo solo alla Grecia in
Europa) e che ci offre una evidenza palmare di come in Italia si sia ben
lontani da una cultura della fisiologia e della scelta libera ed informata.
Siamo
ben lontani, è evidente, da un sistema di promozione
della salute della donna nell'accezione sopra ricordata, basato sul rispetto
dei suoi diritti personali e inviolabili e l'Italia, con il suo modello di
assistenza paternalistico e irrispettoso,
è certamente un destinatario elettivo della recente Dichiarazione dell'OMS sulla
"La prevenzione e l'eliminazione
della mancanza di rispetto e dei maltrattamenti durante il parto nelle strutture sanitarie" (di
cui abbiamo parlato qui), documento in cui l’OMS denuncia la diffusione in tutto il mondo di
pratiche assistenziali non rispettose, abusanti e violente, ne sottolinea i
rischi e gli effetti negativi sulle donne e i loro figli e figlie e chiama
all’azione diversi soggetti, tra cui Governi e Parlamenti, affinché il fenomeno
della violenza ostetrica venga riconosciuto, studiato, contrastato ed eliminato.
E,
tuttavia, a fronte di questo vuoto, normativo e socio-culturale, si rinsalda
ancor di più la nostra richiesta di un riconoscimento, culturale oltre che
giuridico, della violenza ostetrica, della quale proponiamo una
definizione, mutuata dalla Legge del Venezuela ed elaborata alla luce della già
ricordata Dichiarazione OMS del 2014, auspicando che le disposizioni di legge
sulla violenza contro le donne, nazionale e regionali, vengano integrate, con
essa e con la previsione di meccanismi di controllo, denuncia e risarcimento
accessibili:
"violenza ostetrica: l'appropriazione dei
processi riproduttivi del corpo delle donne da parte di personale sanitario, la
trasformazione, nell’ambito del percorso nascita, dei processi fisiologici in
processi patologici, la frustrazione dell’autonomia e dell’autodeterminazione
della donna in ordine al proprio corpo ed alla propria sessualità. Costituiscono violenza ostetrica, a titolo esemplificativo: una situazione in
cui la donna, durante la gravidanza, il travaglio ed il parto, non è assistita
opportunamente ed
efficacemente o non
riceve l’assistenza necessaria in ragione delle proprie scelte, della propria
cultura e della propria dignità, ovvero non riceve i trattamenti di analgesia
farmacologica o non farmacologica che eventualmente ella richieda;
vengono praticati atti medici non necessari o vengono somministrati farmaci non
necessari, in contrasto con le linee guida internazionali e con le evidenze
scientifiche o, comunque, non consapevolmente acconsentiti dalla donna; è
obbligata a partorire in posizione supina o comunque in posizione imposta dal
personale sanitario; le viene negata la possibilità di vedere il suo bambino
appena nato e, se lo desidera, di tenerlo con sé continuativamente durante la
degenza; le viene impedito di bere e mangiare durante il travaglio e il parto; viene
alterato il procedimento fisiologico del parto e viene praticato un cesareo
inutile o privo di indicazioni cliniche. Costituisce altresì violenza ostetrica
negare, rendere gravoso od ostacolare, con condotte attive od omissive, il
diritto della donna di scegliere sulla propria salute riproduttiva, di
interrompere la gravidanza o di ricorrere alla contraccezione di emergenza e
non".