La strega in questione è Agnes Gereb, un’ostetrica ungherese che ha subito un processo (al quale è stata condotta
con manette ai polsi e grosse catene alle caviglie) e che sta scontando una
pena detentiva, in condizioni indegne e disumani, con privazione dell’uscita
all’aria aperta, dell’accesso alla biblioteca, dell’uso di farmaci
antidolorifici, delle visite dei familiari e dei contatti con il mondo esterno.
A questo brutale trattamento Agnes
Gereb è stata condannata per asserita negligenza durante l’assistenza ad un
parto in struttura extraospedaliera (non già a domicilio), all’esito del quale
è deceduto il neonato.
La sentenza è giunta al termine di un
processo iniquo, il cui Giudice ha inspiegabilmente respinto le rituali
richieste di prova avanzate dalla difesa, ha obliterato i dati scientifici e le
valutazioni medico-legali provenienti da esperti internazionali, ha trascurato
le testimonianze degli stessi genitori del piccolo deceduto, benché idonee a fugare
ogni dubbio sul corretto operato dell’ostetrica.
Quest'ultima, infatti, ha assistito
al parto di una donna giunta, presso la casa di Maternità di Budapest Sunlight
Birth House, a travaglio già iniziato e con i segnali di un parto precipitoso,
a fronte dei quali nessun sanitario può esimersi dal prestare assistenza, a
meno di non incorrere in un'omissione di soccorso; alla donna, seguita durante
la gravidanza, la stessa ostetrica aveva vivamente sconsigliato il parto
extraospedaliero, a causa di un disturbo della coagulazione del sangue; il
personale della casa di maternità e l’ostetrica hanno compiuto sul neonato, nato
con difficoltà respiratorie e problemi circolatori, tutti i tentativi di
rianimazione possibili; l'ambulanza, benché immediatamente chiamata dai
sanitari, e' giunta con gravissimo ritardo, come ammesso dagli stessi
responsabili del servizio ambulanze ungherese.
Eppure, c’è chi, evidentemente
ignaro delle circostanze in cui si sono svolti i fatti e per nulla incuriosito
da un’intera e variegata comunità internazionale che si mobilita per chiedere
la scarcerazione di Agnes Gereb, dipinge questa ostetrica come un’incallita
infanticida. La cruda semplificazione induce ad un’altrettanto cruda ma
veritiera considerazione: anche a voler prescindere da un’analisi delle reali
responsabilità, il tasso di mortalità nelle nascite assistite da Agnes Gereb
(oltre 3.500 parti a domicilio) è di gran lunga inferiore al tasso di mortalità
negli ospedali ungheresi … Ma, si sa, delle morti di donne e neonati negli
ospedali (di quelli di tutto il mondo, purtroppo) non se ne parla volentieri e
i casi vengono archiviati, dai media ufficiali e dall’opinione pubblica,
piuttosto rapidamente.
Al contrario, contro le ostetriche
ungheresi (Agnes Gereb non è l’unica professionista perseguita penalmente), si
è scatenata una vera caccia alle streghe: non sarà perché in Ungheria, come
altrove, quello dell’Ostetricia è uno dei settori più redditizi del sistema
sanitario?
Piuttosto, il caso di Agnes Gereb dovrebbe
illuminare: la sicurezza del parto non dipende tanto, o non soltanto, dal luogo
in cui si svolge, bensì dal grado di integrazione e cooperazione tra assistenza
ostetrica extraospedaliera e servizi sanitari ospedalieri.
Che questa sia la chiave di lettura
di questa triste vicenda non lo pensa soltanto chi scrive: lo ha dichiarato la Corte
Europea dei Diritti dell’Uomo, che, non a caso, decidendo un ricorso di una
donna già assistita da Agnes Gereb, ha condannato lo Stato ungherese ad
adottare le misure più idonee per garantire il diritto delle donne di scegliere
dove e come partorire, stigmatizzando l’incertezza giuridica che regna in questo
Paese, ove non si vieta il parto a domicilio ma si perseguitano le ostetriche
che vi assistono (ricorso n. 67545/09, sentenza del 14 dicembre 2010, definitiva
il 14 marzo 2011).
E già, lo dice la CEDU: le donne sono
libere di partorire dove meglio credono, per usare le parole del Sig. Anonimo;
gli Stati, però, hanno il dovere di garantire l’esercizio di questo diritto e,
quindi, di assicurare l’assistenza sanitaria per l’emergenza, sia che sorga tra
le mura ospedaliere, sia che sopravvenga ad un parto a domicilio.
Nel caso di Agnes Gereb questo non
è avvenuto.
Gli accaniti oppositori del parto a
domicilio portano quale unica argomentazione quella per cui il rischio di
un’emergenza o di una complicanza al parto renda l’ospedale il posto “migliore”
e “più sicuro” per la nascita.
Questa argomentazione è tanto ovvia
quanto banale. Chiaramente, nessuna donna si sognerebbe di partorire a casa “in
caso di emergenza”, così come nessuna ostetrica si esimerebbe dallo
sconsigliare il parto a casa in presenza di situazioni non solo di “emergenza”
ma anche di solo ipotetico, minimo rischio.
Evidentemente, l’argomentazione
trae origine da una profonda sfiducia verso le donne, pensate come madri
sconsiderate, snaturate e imprudenti, e verso le ostetriche, viste secondo
l’arcaico immaginario collettivo delle streghe che, senza scienza e
preparazione professionale, si tramandano il sapere di generazione in
generazione.
E’ il caso di rassicurare gli
scettici: di parto a domicilio si parla sempre e solo in caso di gravidanza
fisiologica e a basso rischio; dal canto loro, le ostetriche non imparano “il
mestiere” dalle loro nonne (con tutto il rispetto per queste ultime!), ma
attraverso un percorso di studi normativamente regolamentato, che culmina con
l’acquisizione di un diploma di laurea o di una laurea e di un titolo
professionale abilitante all’assistenza al parto e che, questo è certo,
conferisce loro la necessaria preparazione per distinguere tra condizioni fisiologiche
e patologiche della gravidanza e del parto.
L’affermazione che sia l’ospedale sia
il posto “migliore” per la nascita di
un bimbo è, in sé, legittima, beninteso: se essa viene da una donna e se
esprime una personalissima preferenza per l’ospedale. Ma se la stessa
affermazione vuole assurgere a perentoria rivelazione, si dimostra del tutto
azzardata e priva di fondamento scientifico.
La gravidanza e il parto sono
eventi fisiologici e, in assenza di reali esigenze medico-sanitarie, non devono
essere necessariamente medicalizzati.
Ancora una volta, non è solo chi
scrive a pensarla così: è l’Organizzazione Mondiale della Sanità, che già nel 1985 ha legittimato
l’assistenza demedicalizzata al parto e la scelta del parto in casa, in
sussistenza di condizioni di sicurezza, affermando che non è mai stato
scientificamente provato che l’ospedale è più sicuro della casa per una donna
che ha avuto una gravidanza normale. Studi su parti in casa programmati in
paesi industrializzati e per gravidanze non a rischio hanno mostrato che le
percentuali di complicazioni e di morti materne e neonatali erano uguali o
inferiori rispetto a quelle relative ai parti in ospedale; è il Parlamento
Europeo, che nel 1988 ha
adottato una risoluzione sui diritti delle partorienti, legittimando il parto a
domicilio; sono l’American College of Nurse-Midwives, l’American Public Health
Association e la National Perinatal Association, che ufficialmente supportano
il parto a casa o comunque fuori dall’ospedale per le donne a basso rischio; è
la comunità scientifica internazionale.
A quest’ultimo proposito, la letteratura
scientifica è ricca di studi, basati su evidenze scientifiche, che dimostrano
come, in presenza di gravidanza a basso rischio ostetrico, di assistenza
ostetrica competente e di integrazione tra questa ed i servizi ospedalieri, il
parto a domicilio è una valida alternativa al parto in ospedale, non aumentando
affatto il rischio di eventi negativi per la salute della madre e del neonato.
Ne cito solo alcuni, fra i tanti.
La revisione Cochrane più recente
conclude che non vi sono forti evidenze da studi sperimentali (studi clinici
randomizzati) in favore della nascita
organizzata in ospedale piuttosto che a casa, per le donne con gravidanza
fisiologica ed in presenza di assistenza ostetrica e sostegno medico
collaborativo in caso di trasferimento. Al contrario, il facile e routinario
accesso all’intervento medico potrebbe incrementare il rischio di interventi
non necessari al parto e le donne che partoriscono a casa hanno delle
possibilità migliori di avere un travaglio spontaneo. Tra le donne che pianificano
un parto a casa si verificano il 20/60% di interventi in meno come tagli
cesarei, epidurali, e stimolazioni; e il 10/30%
circa in meno di complicazioni, come emorragia post-partum e lacerazioni
perineali gravi (Ole Olsen, Jette A. Clausen; Planned hospital birth versus
planned home birth; The Cochrane Library; 2012).
Nel documento “Home Births” del
2007, il Royal College of Obstetricians and Gynaecologists ed il Royal College
of Midwives Joint Statement riconoscono che il parto a domicilio per le donne a
basso rischio di complicazioni è sicuro ed offre un favorevole rapporto
benefici/rischi, in termini non soltanto di salute fisica ma anche di benessere
emozionale e psichico (Home Births. Royal College of Obstetricians and
Gynaecologists and Royal
College of Midwives Joint
Statement No.2. April 2007. London: RCOG; 2007).
Uno studio nei Paesi Bassi condotto
su 1836 donne a basso rischio ostetrico non ha riscontrato differenze negli
esiti prenatali tra assistite in casa e in ospedale (Wiegers TA, Keirse MJ, van
der Zee J, Berghs GA. Outcome of
planned home and planned hospital births in low risk pregnancies: prospective
study in midwifery practices in The Netherlands. BMJ 1996;313:1309-13); - uno
studio effettuato a Zurigo, che ha confrontato 489 parti a domicilio con 385
parti ospedalieri, ha dimostrato che gli esiti sfavorevoli a carico delle donne
e del neonato fossero comparabili nelle due tipologie di parto (Ackermann-Liebrich
U., Voegeli T., Kunz I. et al, and Zurich Study Team: Home versus hospital
deliveries: follow up study of matched pairs for procedures and outcome. BMJ
1996;313:1313-8).
Uno studio condotto su 5.418 donne
statunitensi e canadesi, con basso rischio ostetrico e parto a domicilio, ha
concluso che il parto a domicilio presenta un più basso tasso di interventi
medico-operativi ed un simile tasso di morbosità e mortalità neonatale,
rispetto al parto ospedaliero, studiato per un gruppo di donne con rischio
ostetrico comparabile (Johnson KC, Daviss BA. Outcomes of planned home births with certified professional midwives:
large prospective study in North America. BMJ
2005;330:1416).
Uno studio di 4.500 parti a casa
nel Regno Unito è giunto alla conclusione che il parto a domicilio con basso
rischio ostetrico non presenta rischi superiori al parto ospedaliero (Chamberlain
G, Wraight A, Crowley P. Birth at home. Pract Midwife 1999;2:35-9).
Uno studio condotto dalla Provincia
di Trento, Osservatorio Epidemiologico - Direzione Promozione ed Educazione
alla Salute dell’Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari, ha esaminato i 135
parti a domicilio registrati negli anni dal 2000 al 2005, rilevando che: si è
verificato un solo caso di nato pretermine (0,7%, contro il 7,3% dei nati in
ospedale; si è registrato un unico neonato di peso inferiore ai 2500g (2350g),
contro il 6,8% nei nati in ospedale; si è registrato, come punteggio Apgar, il
91,1% dei nati a domicilio con punteggio pari a 10, contro l’81% dei nati in
ospedale; tra i nati a domicilio il punteggio Apgar non va mai sotto il valore
7, mentre in ospedale l’1,1% dei nati ha punteggio inferiore a 7; si è
presentato un solo caso di malformazione alla nascita (0,7%) contro l’1,02% in
ospedale e un solo caso di necessità di rianimazione (0,7%) contro il 5,7% in
ospedale; la proporzione dei trasferimenti clinicamente necessari è bassa
(1/135, 4,4%) e in linea con gli studi osservazionali condotti in altri paesi.
Secondo uno studio statunitense
reso noto al meeting dell’American Public Health Association nel 1976, che ha
messo a confronto 1046 parti in casa con basso rischio ostetrico con 1046 parti
in ospedale, i casi di complicanze in ospedale sono risultati cinque volte
superiori e le emorragie post partum triplicate; inoltre, nei parti
ospedalieri, il numero di tagli cesarei è risultato tre volte superiore
rispetto alle nascite in casa, l’uso
del forcipe 20 volte superiore, la percentuale di casi di alta pressione
nella madre cinque volte superiore, la sofferenza fetale durante il travaglio
triplicate, le infezioni neonatali quadruplicate. Nei due gruppi di parti non
si sono verificate morti materne; in generale, nei parti pianificati a casa
sono state registrate migliori condizioni di salute della mamma e del bambino (Lewis
Mehl, Home Birth Versus Hospital Birth: Comparisons of Outcomes of Matched Populations).
Nel Regno Unito, con il Winterton
Report del 1992, il Comitato sui servizi materni della House of Commons ha
concluso che “incoraggiare tutte le donne al parto in ospedale non è giustificabile
dal punto di vista della sicurezza” e che “non esiste evidenza convincente o
inoppugnabile che gli ospedali diano una garanzia migliore di sicurezza per la
maggioranza di mamme e bimbi. E’possibile, ma non provato, che sia il
contrario”
Il ricercatore danese Ole
Olsen ha esaminato i dati relativi a 25.000
bambini di tutto il mondo, nati a seguito di gravidanze a basso rischio, concludendo
che: la percentuale di sopravvivenza dei bambini nati a casa non è differente
da quella dei bambini nati in ospedale; nei parti a casa sono stati riscontrati
un minor numero di interventi medici, di lacerazioni, di induzioni al
travaglio, di tagli cesarei e di ricorso al forcipe (Ole Olsen, Department of
Social medicine, University of Copenhagen, Denmark, Meta-analysis of the safety
of home birth, Birth. 1997 Mar;24(1):4-13; discussion 14-6).
Uno studio condotto nel 1987 dal National
Childbirth Trust, ha rilevato che il 22% delle donne ospedalizzate avevano
contratto un’infezione postnatale, rispetto al 5% per cento delle donne con
parto a casa.
L’elenco potrebbe continuare.
Prevengo la solita accusa del caso:
non si disconosce, ovviamente, che alla base della diminuzione degli indici di
mortalità neonatale e materna ci sia il progresso della scienza medica e della
tecnologia. Tuttavia, si crede fermamente che questo progresso possa e debba essere
utilizzato per umanizzare la “gestione” della gravidanza e del parto.
Purtroppo, temo che, finché si
continuerà ad affrontare il tema del luogo del parto con i noti pregiudizi
ideologici, si continuerà a dimenticare che la possibilità di scegliere la
propria casa per partorire costituisce un diritto della donna.
Avv. Virginia Giocoli