In un'intervista su NoiDonne, Gabriella Pacini, ostetrica e presidente di Freedom For Birth Rome Action Group spiega perchè il nostro evento di sabato 29 si chiama "La violenza nel Parto" :
"Il titolo "La violenza nel parto" apparentemente ha un sapore un pò "sensazionalistico" ma in realtà è quello che io ho vissuto e fatto, personalmente, per 10 anni in ospedale: violenza alle donne.
Sono
ostetrica dal 1997 e quando ho iniziato ad assistere i parti, nel
grande policlinico romano dove studiavo, appena una donna arrivava in
travaglio
le facevamo subito la depilazione e il clistere, non le permettevamo di
avere nessuno accanto durante il travaglio e il parto, non le permettevamo di alzarsi e
muoversi
liberamente o scegliere una posizione per il parto - magari
accovacciata, per aiutarsi
con la forza di gravità - ma la
costringevamo a stare sdraiata sulla schiena in una posizione senz'altro più faticosa e dolorosa per lei.
Non le
lasciavamo neanche bere un pò d'acqua, ma le mettevamo una flebo per
idratarla.
Non poteva andare al bagno ma portavamo noi una padella. Il più delle
volte dilatavamo il collo dell'utero con le dita, una pratica molto
dolorosa
e anche dannosa.
Al parto poi le gambe venivano legate al lettino,
all'altezza delle cosce, con delle cinte di cuoio e, con una potente
spinta sulla
pancia e un ampio taglio alla vagina, tra le urla della madre, la
creatura
finalmente nasceva.
Se invece queste pratiche non funzionavano - e
capitava spesso che una donna sottoposta a quel supplizio non riuscisse a
partorire - allora si andava
di là in sala operatoria e le veniva praticato un taglio cesareo.
A prescindere dal tipo di parto comunque madre e
bambina/o venivano immediatamente separati e per i genitori non era possibile
vedere il bambino se non ad orari decisi dall'ospedale. Le donne che facevano
il taglio cesareo in particolare soffrivano molto di questo, perché nessuno
portava loro la creatura e, quasi sempre finiva che vedevano il bambino per la
prima volta dopo 3 lunghissimi giorni, semplicemente perché il nido era
"al piano di sotto" e da sole non riuscivano a scendere dopo
l'operazione.
Tutte queste pratiche che ho descritto sono molto dolorose e, se praticate
di routine senza una precisa indicazione,
sono anche dannose per la salute di madre e persona che nasce.
Alcune, come legare le gambe, sono diventate molto rare anche se non sono
completamente scomparse e oggi le donne possono, in moltissimi ospedali, avere
una persona con se durante il travaglio e il parto. Ma tante altre pratiche, come
ad esempio la posizione del parto, rottura del sacco amniotico, la separazione dal bambino/a che viene
portato al nido immediatamente dopo la nascita, e il taglio alla vagina (episiotomia), sono ancora molto
comuni nella maggior parte degli ospedali.
Siamo
riuscite a vedere riconosciuti molti nostri diritti e la condizione
delle donne è molto cambiata negli ultimi 40 anni. Ad esempio il nostro
diritto alla contraccezione, - con la riforma del diritto di famiglia, dopo i referendum su divorzio e aborto e l'abrogazione degli articoli che prevedevano attenuanti per il "delitto d'onore" - rappresenta una conquista indiscussa. Un altra data importante è 1978, l'anno in
cui le donne hanno affermato anche sul piano legislativo il diritto ad
interrompere la gravidanza: un fondamentale riconoscimento del diritto
alla libertà di scelta e autodeterminazione, di
poter scegliere e decidere sul proprio corpo e affrancarsi finalmente
dal destino biologico di una maternità non desiderata che ha oppresso
generazioni di donne.
Centinaia di migliaia di donne sono morte per aborti clandestini prima di veder riconosciuto questo diritto.
Centinaia di migliaia di donne sono morte per aborti clandestini prima di veder riconosciuto questo diritto.
Ma ancora oggi la stessa libertà non è riconosciuta nel parto.
Faccio parte
dell'associazione Vitadidonna da 12 anni e se una donna vuole abortire posso
indicarle un ospedale dove può farlo secondo il suo sentire: se con il metodo
chirurgico o farmacologico, se con anestesia locale o generale. Ci sono ancora
grandi difficoltà ma posso aiutarla a scegliere.
Ma se una donna mi chiede in
quale ospedale può partorire scegliendo la posizione del parto e avendo la
persona che nasce con se - due semplici , elementari richieste, che non
richiedono nessuna particolare attrezzatura da parte dell'ospedale - purtroppo devo ammettere che non
esiste ancora a Roma un solo ospedale in cui possa vedere riconosciuti questi
suoi diritti contemporanemente.
Le
spiegherò che gli ospedali non seguono le raccomandazioni dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, che raccomandano
l'appropriatezza della medicalizzazione e non l'abuso, ma degli obsoleti
protocolli interni che non hanno nessuna motivazione
medica, e originano da arcaiche pratiche di controllo e disciplinamento
del
corpo.
Le dirò che potrà scegliere la posizione del parto solo se l'ostetrica
e in
particolare il medico ritengano legittimo
questo suo diritto e se, al contrario, pensano che lei debba sottostare a
delle prassi e consuetudini (rituali appunto) che non hanno nessuna
motivazione
medica ma rappresentano un puro esercizio di potere, allora sarà obbligata a salire sul lettino. E che potrà avere
il
bambino con se solo se la policy dell'ospedale lo considera opportuno, a
prescindere dai suoi desideri o condizioni di salute.
In 17 anni che assisto le donne al parto ho imparato alcune cose: ho
imparato che sono le donne che partoriscono e non noi che "le facciamo
partorire". Ho imparato che se cerco di capire quali sono i bisogni della
donna durante il travaglio e il parto e cerco, quando posso, di assecondarli,
il parto è più facile, meno doloroso, e più sicuro per la salute della madre e
persona che nasce.
Ma ho anche imparato che malgrado nella nostra Costituzione l'art. 32
riconosca alle persone il diritto di scegliere
e ribadisca come non si possa obbligare nessuno a un trattamento
sanitario questo diritto, di fatto, non
è riconosciuto alle donne durante il travaglio e il parto. E che, di fatto, le
donne vengono oppresse e intimorite con l'artificioso espediente che vuole il parto sempre potenzialmente pericoloso e che tutto questo viene
fatto per il bene del bambino.
E ho imparato che le donne ricevono trattamenti sanitari senza che loro
possano dare o rifiutare il consenso (vedi episiotomia) e che, di fatto, passano necessariamente attraverso un percorso obbligato. Infatti durante il travaglio e il parto può diventare molto difficile per una donna far valere il proprio diritto alla scelta e autodeterminazione.
Servirebbe un Basaglia anche per le donne nel parto: abbiamo riconosciuto
alle persone con problemi mentali il diritto di parlare e decidere della loro
salute e ancora non è possibile quando si parla di donne a termine di
gravidanza.
Con questo evento, che coinvolge solo alcuni operatori sanitari, ma sopratutto altre figure, vogliamo cercare di fare un pò
di luce sul perché di questi "rituali", perché non avendo nessun significato razionale, appunto di rituali si tratta.
Non credo nel bisogno dell'operatore sanitario, medico o ostetrica, di affermare un suo potere possa rappresentare la reale motivazione o possa, da
sola, giustificare quanto accade.
Proprio per indagare le motivazioni all'origine di questa condizione, all'evento della Casa Internazionale delle Donne, è stato fondamentale
coinvolgere
bioeticisti, storiche, antropologhe, psicologhe e femministe che possano aiutarci a far luce su
quelle che sono le ragioni di
questo controllo e abuso, che probabilmente ha radici profonde e riguarda in prima istanza il modello patriarcale da cui proveniamo. Dobbiamo chiederci come viene percepito e normato nella nostra cultura e società il corpo della donna per poter comprendere la posizione della donna nel parto. Le donne stanno in sala parto così come vengono considerate nella società.
Ci sarà tra gli altri, relatori
anche un antropologa che ci racconterà come in modo molto simile accade
la
stessa cosa nei parti a casa Bali, da dove è appena tornata. La cosa non
mi
sorprende affatto: la mistica del "parto naturale" che permetterebbe
una maggior espressione della soggettività della donna nelle società a
bassa tecnologia
non è confermata dagli studi ma al contrario sappiamo che praticamente
in tutte
le società il parto viene normato e controllato attraverso differenti
rituali.
Nella nostra società, in questo momento storico, questo ruolo di
disciplinamento e controllo è assunto dalla tecnologia e medicalizzazione, che
però non rappresenta la causa ma solo
lo strumento attraverso il quale noi
priviamo le donne del loro potere generativo perché appartiene solo alle donne
lo straordinario potere di trasformare un semplice materiale genetico in nuove
persone.
Dunque non è tornando alla natura che cambierà qualcosa, ma perderemmo solo i
vantaggi che il progresso scientifico ci ha dato.
La strada è un altra e per fare chiarezza ci vuole l'aiuto e il contributo
di tutte e tutti."
Ciao, commento come anonima solo perche` non ho nessuna delle applicazioni sopra elencate. Sono mamma di una bimba meravigliosa , radiosa e felice di quasi due anni. Ancora piu` felice e sorridente, perche` e` venuta al mondo bene, e per questo vorrei evidenziare che invece a Roma una struttura che rispetta le scelte e I diritti della donna al momento del parto e anche durante la gravidanza c'e`: si tratta della Casa del Parto Acqualuce, presso l'ospedale Grassi di Ostia. Mia figlia e` nata li`. Dal momento del "ricovero", che chiamerei piuttosto "accoglienza", NESSUNO mi ha toccata, io ho scelto di fare il travaglio e partorire in acqua, ma avrei potuto farlo in qualsiasi altra posizione. Io e mio marito abbiamo avuto a disposizione una camera tutta per noi, con le pareti colorate, lo stereo per la musica, un letto matrimoniale dove abbiamo potuto usare le nostre lenzuola, con attaccata una piccolo culla comunicante perche` la piccina dormisse subito con noi. Mio marito e` stato tutto il tempo con me, e io ho fatto tutto DA SOLA. C'erano ben due ostetriche con noi , ma erano sedute e rispondevano solo alle nostre domande e controllavano il battito con un piccolo apparechhio subaqueo. C'era un bagno tutto per me dove potevo andare quando volevo e ho mangiato durante il travaglio. La piccina l'ho messa subito sul mio seno, dove e` rimasta con il cordone attaccato per diversi minuti e anche per l'ora successive, poi tutti e tre ci siamo messi nel letto. E li` siamo rimasti a farci le coccole e riposarci per 24 ore! Se avevamo bisogno chiamavamo le ostetriche. Nessuno entrava in camera nostra senza bussare. Per I 40 giorni successivi al parto ci hanno offerto assistenza, anche per l'allattamento a qualsiasi ora. Dopo 24 ore eravamo gia` a casa. Amiche vale la pena di parlarne e parlarne forte di questo posto, anche perche` tutto questo e` GRATIS! Mi chiamo Paola Balbi e chiunque volgia parlare con me di questa esperienza mi puo` contattare su facebook. A ROMA SI PUO`!
RispondiEliminaGrazie Paola della tua preziosa testimonianza. La casa del parto Acqua Luce è un posto meraviglioso, l'unica casa del parto pubblica in Italia, e appunto non è un ospedale. Per potervi accedere sono necessarie determinate condizioni, molto restrittive purtroppo e soffre anche della mancanza di personale ostetrico. Neanche un ostetrica è stata assunta per la casa ma viene gestita con le energie delle ostetriche della sala parto dell'ospedale Grassi, dunque sol pochissime donne vengono ammesse ogni mese.
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