La dichiarazione delle e degli studenti di ostetricia del Policlinico Umberto I di Roma.
Per fare in modo che le riflessioni di oggi, lunedì 15 dicembre, non si perdano ma che costituiscano invece la base per ulteriori azioni e pensieri condivisi da cui ripartire domani, proviamo a scrivere due righe.
Ci è sembrato di vitale importanza il fatto che questo confronto si aprisse qui al Policlinico Umberto I, luogo in cui ognuno di noi con la propria competenza (e non ruolo o posizione lavorativa) opera nei confronti del singolo e della collettività.
Ciò di cui ci si rende conto da studenti è la mancanza di spazi di dialogo, mentre abbondano le ore dedicate al puro nozionismo se non, purtroppo spesso, al sequestro di tempi di vita e di relazione, attraverso i tirocinii formativi, per sopperire alle evidenti inadeguatezze strutturali e di organico.
L'Università, come specificato in tutti i regolamenti accademici, in quanto parte della comunità scientifica, dovrebbe promuovere la costruzione del sapere come frutto del lavoro comune e partecipato di docenti, studenti e personale. Pretendiamo allora che questi spazi si creino come è stato possibile oggi e che continuino a crearsi, come è stato desiderio espresso oggi.
Quello che le nuove dichiarazioni dell'OMS (lo statement 2014 sulla violenza ostetrica da cui siamo partiti per costruire questo incontro) sottolineano, è che esiste un fenomeno “violenza ostetrica”, e che esso va innanzitutto individuato, per poi essere studiato, contrastato e prevenuto. I due termini - violenza ostetrica - non stanno a significare un operato intenzionalmente violento di ostetrici e sanitari, ma mettono in luce un tipo di violenza occulto e quotidianamente agito nei confronti della donna che partorisce. È il caso ad esempio dell'inefficienza strutturale ben testimoniata dal prof. F. Pecorini che rende vittime operatori e donne al medesimo livello: ciò che doveva essere una sala parto provvisoria è diventata definitiva nella noncuranza delle istituzioni sanitarie, con tutto il corollario di giustificazioni di qualsivoglia natura (economica, architettonica ecc). A scontarla sui propri corpi le donne, a scontarla sulla propria esistenza chi in questi posti ci lavora e ci vorrebbe lavorare meglio. L'ostetrica Marina Baldocci ha sottolineato come il fenomeno sempre più diffuso di una medicalizzazione impropria risulti accentuato quando a partorire sono le donne più in difficoltà , come nel caso di donne straniere.
Il cortometraggio “La prestazione-Sex like birth” realizzato da Freedom for Birth-Rome Action Group, che ha recentemente ottenuto una menzione speciale al Festival del Documentario Scientifico, è stato proiettato per permettere di individuare tutte quelle situazioni, ormai interiorizzate e date per scontate, che sono espressione di violenza ostetrica: a titolo di esempio la posizione non libera durante il parto, il monitoraggio in continuo, l'accelerazione con ossitocina. Se tutto ciò avvenisse per l'atto sessuale (momento in cui sono coinvolti i medesimi ormoni del parto), sembra più facile riconoscerli come atti di interferenza e screditamento delle proprie competenze, e quindi di violenza. A ragionare sull'idea che debbano essere valorizzate appunto le competenze individuali della donna, il diritto alla libertà di scelta sul proprio corpo, la necessità di consensi veramente informati (e non carta straccia da tirare fuori per un eventuale contenzioso medico-legale) sono stati Gabriella Pacini e Michele Grandolfo.
Strappare alle donne competenze in materia del proprio corpo, sembra essere precisa volontà di sistemi e modelli patriarcali, tra le cui espressioni vi è il sistema-ospedale. Ospedale che è l'unico contesto in cui avviene la nostra formazione, luogo in cui, come dalla relazione di Alessandro Rinaldi di Medici senza Camice, nella pratica quotidiana, si acquisiscono dei comportamenti indotti dall'ambiente, dalla struttura, dalle persone coinvolte nell'insegnamento nonché dai colleghi (hidden curriculum), che molto spesso sono però frutto di un adeguamento acritico al contesto.
Aprire gli orizzonti della formazione, costruire protocolli alla luce di incontri partecipati e condivisi (a partire dalla proposta esplicitata oggi di aprire un tavolo per la creazione di protocolli conformi al modello degli Ospedali Amici dei Bambini, quasi totalmente assenti nel Lazio), ripassare la Carta di Ottawa tanto datata quanto attuale, creare e ricreare spazi di dialogo all'interno dei contesti lavorativi, ci sembrano essere dei validi punti di partenza.
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