Il 18 gennaio abbiamo realizzato un’importante
iniziativa a Napoli in collaborazione con Terra Prena: la messa in scena al
Maschio Angioino dello spettacolo “No Ospedali, No Parti” del Teatro Instabile
della Tuscia Romana. Lo spettacolo, realizzato secondo la metodologia del
Teatro dell’Oppressa e ideato da TITUR in collaborazione con Freedom For Birth
Rome Action Group è stato già rappresentato diverse volte nel corso del 2013.
Nei giorni successivi all’iniziativa napoletana, che
ha riscosso entusiasmo e partecipazione, sulla pagina Facebook della campagna
“Il Buon Medico non Obietta” (che sosteniamo fortemente) si è svolto un
dibattito a nostro avviso interessante e sono stati postati diversi commenti,
anche molto lunghi ed articolati, che avevano come oggetto il nostro movimento
e le nostre posizioni.
Li abbiamo letti tutti con molta attenzione e ci fa
piacere vedere che le tematiche che proponiamo suscitino interesse e dibattito.
Alcuni dei commenti postati, benché ci attribuiscano una linea teorica
assolutamente errata e rechino giudizi nei nostri confronti tanto gravi quanto
inappropriati, non ci dispiacciono affatto, poiché ci offrono l’occasione per
esplicitare ancora meglio quello che, forse sbagliando, pensavamo di aver già
chiarito sulla nostra pagina fb, in questo blog, nei dibattiti e nelle
iniziative da noi organizzate o alle quali siamo state invitate a partecipare.
Cogliamo quindi l’occasione per esprimere con chiarezza
e forza quali siano le nostre idee, posizioni, valori e obiettivi.
Tale elaborazione è frutto sì dell’incontro tra donne
che condividono un punto di vista, ma si è arricchita nel corso del tempo anche
grazie ad un significativo, ricco e sempre presente dibattito interno, nonché
dal confronto e dal dialogo con quant* hanno interagito con Freedom For Birth –
Rome Action Group dalla sua nascita.
Noi siamo, senza ipocrisie e senza timori, dalla parte
delle donne che vogliono scegliere e si vedono negato questo diritto, che non
hanno potuto scegliere o che non sanno, ancora, di avere diritto a farlo.
Qualunque sia questa scelta, sia essa per il parto o per l’aborto, sia essa per
le modalità ed il luogo del proprio parto. Si tratta, per noi, di questioni intimamente
correlate, facce di uno stesso diritto umano: quello delle donne di disporre
liberamente del proprio corpo.
Rivendicare questo non significa essere contro la
medicina, la scienza, il progresso umano. Significa invece lottare contro gli
abusi sul corpo delle donne, ovunque essi si verifichino. Per strada, tra le
mura domestiche, nelle farmacie e negli ospedali occupati dagli obiettori, così
come nelle sale parto. Significa sostenere che - non un qualsiasi intervento
medico, come sembrano insinuare alcuni commenti, ma - un intervento medico non
supportato da esigenze cliniche, oppure agito sul corpo della donna senza il
suo consenso libero, informato e consapevole, o peggio da questa non voluto, è
una violazione del suo corpo, della sua persona e della sua dignità.
Perchè negare che, anche al momento del parto, la
donna debba potersi autodeterminare? Perché pensare che l’esser diventata madre
di figli sani debba necessariamente ripagare la donna insoddisfatta di come è
andato il parto?
Di certo non disconosciamo il progresso medico e le
conquiste vitali della scienza; così come ovviamente non neghiamo che la
medicina salvi la vita umana. Un’etichetta del genere è davvero artificiosa e
pecca, in tutta franchezza, di semplicismo. E se i commenti non fossero stati
postati sulla pagina del Buon Medico Non Obietta, si cadrebbe facilmente nella
tentazione di leggere, nelle accuse di “misticismo” e “ascientificità”, la ben
nota trappola di chi preferisce trasformare le battaglie per
l’autodeterminazione delle donne in conflitti ideologici pro o contro i medici,
pro o contro la vita, pro o contro la salute, proprio come succedeva (e
purtroppo succede) per l’aborto.
Non è nostro intento quello di istruire i medici o di
sostituirsi a loro. E’ proprio il contrario: chiediamo che le donne vengano
proprio da loro informate, così da non doversi “domandare” che un intervento
medico sia stato necessario, ma da averne la certezza, basata sulle evidenze
scientifiche.
Ma ci sentiamo anche libere di sostenere che il
progresso della scienza medica sia altro dall’eccesso di medicalizzazione, che,
lungi dal poter essere giustificato come un trascurabile e socialmente
accettabile prezzo di quel progresso, finisce invece per rinnegarlo.
D’altronde, se l’OMS definisce normale e medicalmente giustificato un tasso di
cesarei del 10-15%, è più che legittimo pensare che tassi del 60% rispondano a
ragioni diverse dalla necessità di salvare la vita o evitare complicazioni.
Così come è legittimo chiedersi perché quella di tagliare la vagina della donna,
che dovrebbe essere una pratica attuata solo in una percentuale molto bassa e
ben definita di casi (circa il 5%) ed invece viene praticata in modo routinario
a quasi tutte le partorienti, spesso senza il loro consenso, oppure quella di
spingere con braccia e gomiti sulla sua pancia siano considerate prassi normali
e praticate nella stragrande maggioranza dei parti, laddove la stessa
letteratura medica - e non certo le “fanatiche” del parto in casa - ne
sconfessa la necessità e ne evidenzia la pericolosità?
Tutte le volte in cui l’intervento medico non è
necessario e nel contempo, o comunque, non è acconsentito dalla donna
esaustivamente informata, noi ci “arroghiamo” il diritto di dare, a questo
eccesso di medicalizzazione, un altro nome: quello di violenza sul corpo delle
donne, per la quale non può valere l’esimente della medicina che salva la vita.
E’ violenza ostetrica anche negare l’aborto
farmacologico, “proponendo” o meglio imponendo come unica possibilità quello
chirurgico. Eppure si tratta, anche in questo caso, di un trattamento
sanitario…
Noi speriamo vivamente che ci si renda conto che la
concezione del parto e della gravidanza come eventi patologici (ovvero
fisiologici solo a posteriori) sia frutto di una cultura paternalistica, incentivata o forse scaturita da esigenze
della medicina difensiva, che svilisce le donne a (s)oggetti incapaci di
valutare e scegliere ciò che è meglio per loro. Del resto, perché mai dovremmo
continuare a vedere la sala parto come un luogo avulso dal contesto sociale e
culturale, piuttosto che leggerne i riflessi? Eppure, un processo di
ridefinizione del parto e della gravidanza, per il quale saremmo ampiamente
supportate e confortate dalle medicina delle evidenze scientifiche, gioverebbe
all’autonomia e centralità delle donne nelle decisioni sulla loro salute
riproduttiva - in primis in quelle per l'interruzione della gravidanza -, così
come all’ansia degli operatori sanitari, che noi consideriamo nostri auspicati
interlocutori.
Dopo tutto questo, speriamo che sia adesso più
comprensibile il motivo per cui parliamo di parto a domicilio più di quanto non
parliamo del cesareo elettivo: ciò non corrisponde alla volontà di proporre
quel modello di parto, ma all'impellente necessità di parlare di diritti negati,
piuttosto che di situazioni consolidate. Non ci sembra, infatti, che per il
cesareo elettivo la scelta delle donne
venga ostacolata (benché resti da capire quanto questa scelta, che
statisticamente resta del tutto marginale, si sia formata sulla base di
informazioni scientificamente corrette ed esaustive).
Non riusciamo poi a comprendere perché sostenere le
donne che vogliono partorire a casa sia considerato frutto di fanatismo
mistico. A parte il fatto che se rivendichiamo, come noi vogliamo fare, il diritto
di ogni donna di scegliere per il proprio corpo, anche la scelta “ascientifica”
– ammesso e non concesso che il parto a domicilio lo sia - dovrebbe trovare
titolo e andare esente da pregiudizi di sorta.
Diversamente, si cadrebbe nella stessa arroganza e
prepotenza che noi e le commentatrici contestiamo: quella di dire alle donne
quando e se diventare madri, quando, dove e con quali modalità partorire, come
essere madri, come crescere e nutrire i loro figli. E’ facile cadere nella
tentazione di inneggiare a modelli ideali (ospedalizzati o non che siano, naturalisti o meno che siano), quando
invece è solo con la personalità, le esigenze, la cultura di ogni singola donna
che la legittimità di quel modello deve misurarsi.
E’ in nome della centralità della donna rispetto ai
percorsi della salute riproduttiva che Freedom for Birth Rome Action Group
rifiuta di proporre un modello di parto, un modello di donna, un modello di
madre.
Con quanto sopra, non riteniamo sia contraddittorio
divulgare informazioni, che consolidate e filtrate dal vaglio di ISS, OMS,
letteratura medica ed Evidence Based Medicine, correttamente ci illustrino i vantaggi
- in termini di salute pubblica e individuale, di salute materna e infantile e,
diversamente da quanto abbiamo letto sopra, persino di spesa pubblica -, del
parto naturale rispetto a quello chirurgico, i benefici dell’allattamento
materno rispetto a quello artificiale, del controllo del dolore non
farmacologico rispetto a quello farmacologico, etc. Si tratta, semplicemente,
di dare quelle informazioni scientificamente corrette che la donna ha il
diritto di avere prima di compiere una (qualunque) sua scelta.
E, benché tentate, evitiamo in questa sede di
ripercorrere la copiosa letteratura scientifica e medica che, in caso di
gravidanza fisiologica, riconosce al parto a domicilio esiti comparabili, se
non addirittura migliori, rispetto al parto in ambiente ospedaliero (tra cui una
revisione cochrane, per citarne una), rimandandovi, qualora ve ne sia sorta la
curiosità, a nostri articoli precedenti. Sul parto a domicilio, infatti, non
vogliamo proprio convincere nessuno.
Quello che ci interessa e' che la scelta di ogni donna
non venga giuridicamente, economicamente, socialmente e culturalmente
ostacolata. Siamo certe che questa lotta sia tra noi e le commentatrici
condivisibile più di quanto non sembri.
Freedom for Birth
Rome Action Group
Nessun commento:
Posta un commento
E' possibile commentare questo post. Lo può fare chiunque, non è necessario essere iscritti. I commenti non sono moderati e quindi vi chiediamo di rispettare alcune semplici regole:
rimuoveremo commenti che nel linguaggio o nei contenuti siano razzisti, sessisti o omofobi. Non accettiamo commenti che siano offensivi o diffamatori nei confronti di persone.